Viaggio in Iran/1 - La seconda città santa del Paese vive di fedeli più che di commerci
È la seconda città santa dell’Iran, dopo Mashhad. Oggi, però, quasi quasi Qom fa ombra a quest’ultima da quando proprio qui l’imam Khomeini predicava, prima di essere costretto all’esilio dall’ultimo shah di Persia, Reza Pahlevi. E qui, oggi, sono concentrate le più importanti scuole e università coraniche. Che il mausoleo che accoglie le spoglie di Fatemeh, per noi Fatima, riceva sempre più visite – sembra 40 milioni all’anno secondo la guida che ci è stata imposta dalla polizia – lo testimoniano le opere faraoniche di ingegneria che sono state messe a disposizione dei visitatori, o che lo saranno appena terminate: un megaparcheggio sotterraneo; una metropolitana aerea impressionante nel suo lungo viadotto; tre o quattro enormi moschee; una gigantesca opera di accoglienza, una sorta di ostello, che pare un aeroporto. Ma tutto ciò non conta nulla.
Ciò che importa è il Hazrat-e Masumeh che ospita la tomba della sorella dell’imam Reza, che morì e fu sepolta in quest’edificio nel IX secolo: due cupole maestose, cortili e minareti a profusione, piastrellati incantevoli, il tutto costruito soprattutto sotto lo scià Abbas I e gli altri sovrani safavidi, anche se la grande cupola dorata fu edificata dallo scià qagiaro Fath Ali.
Mentre dunque la nostra guida Ali ci istruisce sui santi principali dell’Islam versione sciita, camminiamo lentamente verso il mausoleo vero e proprio, contraddistinto dalla grande cupola dorata che s’avvicina nella sua sobria ricchezza sin da lontano. Ecco la grande nicchia degli specchi e poi quella dorata, ecco i grandi cortili, quattro, con inusuali fontane e tanti servizi per i pellegrini e gli studenti; ci sono i numerosi minareti e le grandi porte di sapore persiano. Ma c’è soprattutto la gente, di tutte le età e di tutte le provenienze, su cui svettano i turbanti bianchi degli ayatollah e degli imam, avvolti nelle loro palandrane nere, bianche o beige. Assieme alle donne velate e avvolte di nero, creano un’infinita sequenza cangiante, quasi fiamme nere che svolazzano qua e là posandosi dove e quando vogliono su un concerto di note maiolicate colorate di cui si può capire il senso (e il sesso) solo dopo un lungo esercizio di assuefazione all’assenza di colore.
Accade così che, d’improvviso, i colori delle maioliche – gli azzurri e i verdi dominano – vengano dipinti sulle lunghe vesti che avvolgono le donne, e alcuni uomini. Anche le tante bandiere nere inalberate in occasione della festa dell’imam Hossein, il settimo imam, quellod ella kenosis islamica sciita, paiono colorarsi. Ma non è che un’illusione, o il sogno di tanti iraniani, quello cioè di avere una religione un po’ più gioiosa.
Curiosamente qualche sprazzo di gioia la scorgo nella grande sala della preghiera dove sono riunite alcune centinaia di imam, ognuno con il suo turbante bianco e con i suoi curati mantelli bruni e grigi, elegantissimi; ascoltano la lezione di un ayatollah più importante degli altri, e intervengono e si esaltano e si infiammano, addirittura. Proprio lì accanto giace Fatemeh che riesce a trasmettere loro un po’ di grazia. Femminile, finalmente.
È la seconda città santa dell’Iran, dopo Mashhad. Oggi, però, quasi quasi Qom fa ombra a quest’ultima da quando proprio qui l’imam Khomeini predicava, prima di essere costretto all’esilio dall’ultimo shah di Persia, Reza Pahlevi. E qui, oggi, sono concentrate le più importanti scuole e università coraniche. Che il mausoleo che accoglie le spoglie di Fatemeh, per noi Fatima, riceva sempre più visite – sembra 40 milioni all’anno secondo la guida che ci è stata imposta dalla polizia – lo testimoniano le opere faraoniche di ingegneria che sono state messe a disposizione dei visitatori, o che lo saranno appena terminate: un megaparcheggio sotterraneo; una metropolitana aerea impressionante nel suo lungo viadotto; tre o quattro enormi moschee; una gigantesca opera di accoglienza, una sorta di ostello, che pare un aeroporto. Ma tutto ciò non conta nulla.
Ciò che importa è il Hazrat-e Masumeh che ospita la tomba della sorella dell’imam Reza, che morì e fu sepolta in quest’edificio nel IX secolo: due cupole maestose, cortili e minareti a profusione, piastrellati incantevoli, il tutto costruito soprattutto sotto lo scià Abbas I e gli altri sovrani safavidi, anche se la grande cupola dorata fu edificata dallo scià qagiaro Fath Ali.
Mentre dunque la nostra guida Ali ci istruisce sui santi principali dell’Islam versione sciita, camminiamo lentamente verso il mausoleo vero e proprio, contraddistinto dalla grande cupola dorata che s’avvicina nella sua sobria ricchezza sin da lontano. Ecco la grande nicchia degli specchi e poi quella dorata, ecco i grandi cortili, quattro, con inusuali fontane e tanti servizi per i pellegrini e gli studenti; ci sono i numerosi minareti e le grandi porte di sapore persiano. Ma c’è soprattutto la gente, di tutte le età e di tutte le provenienze, su cui svettano i turbanti bianchi degli ayatollah e degli imam, avvolti nelle loro palandrane nere, bianche o beige. Assieme alle donne velate e avvolte di nero, creano un’infinita sequenza cangiante, quasi fiamme nere che svolazzano qua e là posandosi dove e quando vogliono su un concerto di note maiolicate colorate di cui si può capire il senso (e il sesso) solo dopo un lungo esercizio di assuefazione all’assenza di colore.
Accade così che, d’improvviso, i colori delle maioliche – gli azzurri e i verdi dominano – vengano dipinti sulle lunghe vesti che avvolgono le donne, e alcuni uomini. Anche le tante bandiere nere inalberate in occasione della festa dell’imam Hossein, il settimo imam, quellod ella kenosis islamica sciita, paiono colorarsi. Ma non è che un’illusione, o il sogno di tanti iraniani, quello cioè di avere una religione un po’ più gioiosa.
Curiosamente qualche sprazzo di gioia la scorgo nella grande sala della preghiera dove sono riunite alcune centinaia di imam, ognuno con il suo turbante bianco e con i suoi curati mantelli bruni e grigi, elegantissimi; ascoltano la lezione di un ayatollah più importante degli altri, e intervengono e si esaltano e si infiammano, addirittura. Proprio lì accanto giace Fatemeh che riesce a trasmettere loro un po’ di grazia. Femminile, finalmente.
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