Viaggio nelle Canarie/1 - Nell'isola di Tenerife non esiste solo turismo di massa. C'è della meravigliosa solitudine
Mi trovo alloggiato in una delle zone a più alta intensità turistica dell’intero pianeta: la costa sud dell’isola di Tenerife. Non l’ho voluta io, ma ci sono finito dentro. Per fortuna ho una macchinetta con la quale provo a svignarmela alla chetichella. Prendo la strada verso il Nord, verso un paesello arroccato sulle rocce che risponde al nome di Masca. A una ventina di chilometri dalla meta, ecco che d’improvviso, dopo il bivio dalla strada principale, quella per Icod, la città del vino, i luoghi si fanno deserti, mentre la strada s’impenna e si restringe.
Scavalco una sorta di passo di montagna e il paesaggio, ancora d’improvviso, si fa più verde, anzi colorato per i tanti alberi in fiore che spuntano come miracoli dalla lava. Sì, sono in un cratere che pare perfetto, un bacino di arbusti e piante che paiono voler festeggiare a tutti i costi la primavera incipiente, che però sembra lontana ancora secoli e secoli. In basso, al centro del cratere, ecco un villaggio bianco e qua e là pure giallo, risponde al nome di Santiago del Teide. Lo visito, ha una chiesetta che fa tenerezza, bianca e grigia, come sempre austera all’esterno e passionale all’interno. E poi vie e viuzze senza squilli architettonici ma con dignità e decoro.
Poi risalgo il pendio, dalla parte opposta, in posizione analoga rispetto al primo passo, ma speculare. Per raggiungerlo si scala – proprio così – una serpentina dai parapetti gialli che paiono una vera e propria scalinata tanto sono stretti e verticali. E da lassù s’apre un altro mondo, un altro universo: se verso Santiago del Teide c’è la pace d’un catino, verso Masca c’è l’inferno di un mondo di vette e abissi, dirupi e impossibili conformazioni rocciose, pietrose, laviche.
Mi trovo alloggiato in una delle zone a più alta intensità turistica dell’intero pianeta: la costa sud dell’isola di Tenerife. Non l’ho voluta io, ma ci sono finito dentro. Per fortuna ho una macchinetta con la quale provo a svignarmela alla chetichella. Prendo la strada verso il Nord, verso un paesello arroccato sulle rocce che risponde al nome di Masca. A una ventina di chilometri dalla meta, ecco che d’improvviso, dopo il bivio dalla strada principale, quella per Icod, la città del vino, i luoghi si fanno deserti, mentre la strada s’impenna e si restringe.
Scavalco una sorta di passo di montagna e il paesaggio, ancora d’improvviso, si fa più verde, anzi colorato per i tanti alberi in fiore che spuntano come miracoli dalla lava. Sì, sono in un cratere che pare perfetto, un bacino di arbusti e piante che paiono voler festeggiare a tutti i costi la primavera incipiente, che però sembra lontana ancora secoli e secoli. In basso, al centro del cratere, ecco un villaggio bianco e qua e là pure giallo, risponde al nome di Santiago del Teide. Lo visito, ha una chiesetta che fa tenerezza, bianca e grigia, come sempre austera all’esterno e passionale all’interno. E poi vie e viuzze senza squilli architettonici ma con dignità e decoro.
Poi risalgo il pendio, dalla parte opposta, in posizione analoga rispetto al primo passo, ma speculare. Per raggiungerlo si scala – proprio così – una serpentina dai parapetti gialli che paiono una vera e propria scalinata tanto sono stretti e verticali. E da lassù s’apre un altro mondo, un altro universo: se verso Santiago del Teide c’è la pace d’un catino, verso Masca c’è l’inferno di un mondo di vette e abissi, dirupi e impossibili conformazioni rocciose, pietrose, laviche.
Nessun commento:
Posta un commento