Viaggio a Tenerife/2 - Un borgo abbarbicato sulla montagna e a picco sul mare...
Venendo da Santiago del Teide, dalla sua conca lavica e stupenda, percorro l’ardita strada di montagna che supera uno stretto passo, ecco che qualche tetto, laggiù nella valle che va verso il mare, minacciato da enormi e fantasmagoriche conformazioni vulcaniche residuo di tante e lunghe colate, annunciano il paesello di Masca che pare uno schiaffo al buonsenso e una sfida agli dèi del vulcano Teide.
Tira vento e il cielo è coperto, il che non mi disturba, perché così il luogo appare più naturalmente gravido di dolore e sfide. Scendo la spina dorsale del viaggio, la cresta della lama di lava su cui s’aggrappano le poche case del villaggio. È bello, pittoresco, ardito. Scendo i gradini irregolari di tufo sbozzato e mi chiedo cosa mai abbia spinto la gente di qui a costruire un paese, a voler vivere con ogni rischio e ogni precarietà appena fuori dall’uscio di casa. Finché giungo all’ultimo sperone di roccia dell’ultimo grumo abitato di Masca e mi volto verso la montagna.
Allora capisco, mi rendo conto che basterebbe questa vista per giustificare il perché di Masca. La sua bellezza sta nel suo volto bifronte: spaventoso verso il mare, rassicurante verso la montagna. Ma nel contempo elettrizzante guardando dal basso e mozzafiato guardando dall’alto. Per questo a Nasca conviene passare, e magari restarci per qualche ora, qualche giorno, persino qualche mese.
Venendo da Santiago del Teide, dalla sua conca lavica e stupenda, percorro l’ardita strada di montagna che supera uno stretto passo, ecco che qualche tetto, laggiù nella valle che va verso il mare, minacciato da enormi e fantasmagoriche conformazioni vulcaniche residuo di tante e lunghe colate, annunciano il paesello di Masca che pare uno schiaffo al buonsenso e una sfida agli dèi del vulcano Teide.
Tira vento e il cielo è coperto, il che non mi disturba, perché così il luogo appare più naturalmente gravido di dolore e sfide. Scendo la spina dorsale del viaggio, la cresta della lama di lava su cui s’aggrappano le poche case del villaggio. È bello, pittoresco, ardito. Scendo i gradini irregolari di tufo sbozzato e mi chiedo cosa mai abbia spinto la gente di qui a costruire un paese, a voler vivere con ogni rischio e ogni precarietà appena fuori dall’uscio di casa. Finché giungo all’ultimo sperone di roccia dell’ultimo grumo abitato di Masca e mi volto verso la montagna.
Allora capisco, mi rendo conto che basterebbe questa vista per giustificare il perché di Masca. La sua bellezza sta nel suo volto bifronte: spaventoso verso il mare, rassicurante verso la montagna. Ma nel contempo elettrizzante guardando dal basso e mozzafiato guardando dall’alto. Per questo a Nasca conviene passare, e magari restarci per qualche ora, qualche giorno, persino qualche mese.
Nessun commento:
Posta un commento