Viaggio in Kenya e Tanzania/4 - Il cuore della città di Zanzibar svela una cultura che non è solo africana.
Dopo la messa delle 6, in inglese, alla presenza di una dozzina di fedeli, usciamo per la città, dirigendoci verso la spiaggia per vicoli ancora deserti, sotto i grandi edifici arabo-coloniali che svettano sulle casette tipo suq. Una città che da subito mi affascina, questa Stone Town, ricchissima di belle sorprese, di connubi architettonici inusitati, di scorci maestosi e di vedute quasi da slum, giardini che par d'essere nell'Eden e spiagge di sabbia bianca che verrebbe voglia solo di sedersi e bere un drink contandone i granelli. Non ci sono ancora turisti, cioè bianchi, in giro per la città, hanno senza dubbio fatto bisboccia nella notte, ci sono solo indigeni, le donne con il loro hijab (ce ne sono addirittura che fanno jogging sulla spiaggia, qualche anno fa solamente sarebbe stato impossibile) e gli uomini con il loro copricapo cilindrico di chiara origine omanita.
Ali guarda il mare, e il mare lo guarda. Avrà ottant'anni, lo sguardo è quello corto delle cataratte, ma la sua vista è di quelle che vanno lontano: «Qui stiamo bene, la natura ci asseconda, il mare ci dà il cibo, una casa ce l'hanno tutti, c'è forse un po' di povertà qua e là ma non possiamo lamentarci. Ma da qualche tempo, da quando cioè la politica ha cominciato ad occuparsi di religione, le cose non vanno più tanto bene. Ci sono le donne che si coprono troppo e ci sono gli uomini che comandano senza limitarsi, gli anziani non vengono più rispettati e i cristiani vengono considerati kafir, mentre sono i miei fratelli e le mie sorelle. I politici pensano di accaparrarsi i voti facendo i duri in materia di religione, mentre poi di Allah e dei suoi precetti non gliene importa nulla. Speriamo che la smettano di mescolare politica e religione». Abbraccio Ali, mio fratello.
Il porto è come tutti i porti del mondo: nei suoi dintorni si concentrano coloro che non riescono a sbarcare il lunario e che quindi cercano di offrire piccoli servizi, di spillare qualche moneta o addirittura qualche biglietto verde. Ahmed ci porta al botteghino dei traghetti per le prenotazioni. Racconta di una vita grama, non ha una casa fissa, ha tre figli ma non sa dove siano, la moglie si offre ai turisti, ma da tempo non stanno più assieme. Le tracce di umidità su molti muri non sono più tracce isolate, ma colore principale, in uno stato di abbandono che potrebbe inquietare. Un vecchio palazzo coloniale rimane in piedi perché puntellato da grossi funi metalliche ancorate in blocchi di cemento chee circondano la mole minacciosa dell'edificio.
Girando per le stradine della Stone Town, quasi a caso, si scoprono le ben note porte lignee intagliate di Zanzibar, il principale manufatto artistico locale. Ce ne sono di antiche e di recenti: quelle nuove di zecca non riportano più le incisioni di frasi del Corano, ma semplici decorazioni, anche qui pare che lo spirito religioso abbia qualche problema a perpetuarsi. Sono belle, a volte incantevoli, queste porte, anche se talvolta appaiono d'improvviso lungo un budello di via che pare un'anticamera dell'inferno in mezzo a brutture del tempo e a immondizie. Un vecchio imam mi offre una tazza di tè dentro un bricco di alluminio che par avere due o tre secoli. Accanto a lui delle pie donne sembrano fiamme cangianti nei loro sari che suggeriscono il fuoco, il sole, il mare, la foresta. Questa e tanto altro è Stone Town, la città di pietra che è anche Soul Town, cioè la città dell'anima.
Dopo la messa delle 6, in inglese, alla presenza di una dozzina di fedeli, usciamo per la città, dirigendoci verso la spiaggia per vicoli ancora deserti, sotto i grandi edifici arabo-coloniali che svettano sulle casette tipo suq. Una città che da subito mi affascina, questa Stone Town, ricchissima di belle sorprese, di connubi architettonici inusitati, di scorci maestosi e di vedute quasi da slum, giardini che par d'essere nell'Eden e spiagge di sabbia bianca che verrebbe voglia solo di sedersi e bere un drink contandone i granelli. Non ci sono ancora turisti, cioè bianchi, in giro per la città, hanno senza dubbio fatto bisboccia nella notte, ci sono solo indigeni, le donne con il loro hijab (ce ne sono addirittura che fanno jogging sulla spiaggia, qualche anno fa solamente sarebbe stato impossibile) e gli uomini con il loro copricapo cilindrico di chiara origine omanita.
Ali guarda il mare, e il mare lo guarda. Avrà ottant'anni, lo sguardo è quello corto delle cataratte, ma la sua vista è di quelle che vanno lontano: «Qui stiamo bene, la natura ci asseconda, il mare ci dà il cibo, una casa ce l'hanno tutti, c'è forse un po' di povertà qua e là ma non possiamo lamentarci. Ma da qualche tempo, da quando cioè la politica ha cominciato ad occuparsi di religione, le cose non vanno più tanto bene. Ci sono le donne che si coprono troppo e ci sono gli uomini che comandano senza limitarsi, gli anziani non vengono più rispettati e i cristiani vengono considerati kafir, mentre sono i miei fratelli e le mie sorelle. I politici pensano di accaparrarsi i voti facendo i duri in materia di religione, mentre poi di Allah e dei suoi precetti non gliene importa nulla. Speriamo che la smettano di mescolare politica e religione». Abbraccio Ali, mio fratello.
Il porto è come tutti i porti del mondo: nei suoi dintorni si concentrano coloro che non riescono a sbarcare il lunario e che quindi cercano di offrire piccoli servizi, di spillare qualche moneta o addirittura qualche biglietto verde. Ahmed ci porta al botteghino dei traghetti per le prenotazioni. Racconta di una vita grama, non ha una casa fissa, ha tre figli ma non sa dove siano, la moglie si offre ai turisti, ma da tempo non stanno più assieme. Le tracce di umidità su molti muri non sono più tracce isolate, ma colore principale, in uno stato di abbandono che potrebbe inquietare. Un vecchio palazzo coloniale rimane in piedi perché puntellato da grossi funi metalliche ancorate in blocchi di cemento chee circondano la mole minacciosa dell'edificio.
Girando per le stradine della Stone Town, quasi a caso, si scoprono le ben note porte lignee intagliate di Zanzibar, il principale manufatto artistico locale. Ce ne sono di antiche e di recenti: quelle nuove di zecca non riportano più le incisioni di frasi del Corano, ma semplici decorazioni, anche qui pare che lo spirito religioso abbia qualche problema a perpetuarsi. Sono belle, a volte incantevoli, queste porte, anche se talvolta appaiono d'improvviso lungo un budello di via che pare un'anticamera dell'inferno in mezzo a brutture del tempo e a immondizie. Un vecchio imam mi offre una tazza di tè dentro un bricco di alluminio che par avere due o tre secoli. Accanto a lui delle pie donne sembrano fiamme cangianti nei loro sari che suggeriscono il fuoco, il sole, il mare, la foresta. Questa e tanto altro è Stone Town, la città di pietra che è anche Soul Town, cioè la città dell'anima.
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