Agli Europei ci tocca nei quarti di finale l'Inghilterra. Che sia il ponte verso le semifinali? Scritto del giugno 2004
Più che altri monumenti, più della Torre, più della
cattedrale, il ponte della torre, il Tower Bridge, è il simbolo di Londra: la
sua silhouette è conosciuta ovunque
nel mondo. Eppure non è una costruzione antica, datando solo al 1894; è un’opera
di ingegneria vittoriana, un ponte a suo modo maestoso che divarica le sue
braccia di rado, per far transitare bastimenti di stazza smodata, o in
occasioni solenni come per il ritorno del Gipsy Moth, il celebre piccolo veliero
su cui sir Francis Chichester circumnavigò il nostro pianeta terracqueo. O come
per il “pensionamento” della nave da guerra HMS Belfast, ora museo navale, che
staziona poco distante, sulla riva sud del Tamigi in dorato riposo, dopo aver
servito a Capo Nord, nello sbarco di Normandia e in Corea, agli ordini dell’Onu.
Il meccanismo a vapore del ponte levatoio era all’epoca qualcosa di
straordinario, l’ottava meraviglia del mondo, l’ennesima. Oggi è solo museo.
Trecento – non uno di più, non uno di meno – sono i gradini
che mi issano sulla vetta della torre sud, e poi nelle passerelle che uniscono
le due torri, trasformate naturalmente anch’esse in museo pensile. Trecento
gradini di ferro, avvitati con bulloni giganteschi, ingentiliti tuttavia da un
mancorrente di legno massiccio, così come lo sono le pareti della tromba delle
scale che si innalza poco alla volta dal livello della strada – trafficatissima
– sino alla sommità della torre – invece solitaria –. Salendo, avvolti negli
scricciolii ferrei e lignei e accompagnati dal rumore dei passi che rimbombano
nelle viscere della costruzione, si provano sensazioni liquide simili a quelle
sperimentate sulle scalette altrettanto bullonate e ancora più metalliche della
Torre Eiffel: l’uomo della fine del XIX secolo aveva raggiunto vette d’ingegno
insospettabili, che solo la rivoluzione digitale poi supererà.
Sentimenti di sacralità mi abitano in questo tempio dell’umana
creatività: quando vuole, l’uomo sa essere un degno compartecipe della
creazione divina. Ma solo quando vuole, e se ha l’umiltà di mantenere le giuste
proporzioni delle cose. Il che non sempre accade. Ma sul Tower Bridge tutto è
nella scala giusta.
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