Viaggio in Asia e Oceania/5 - Nuova Zelanda, dove gli spazi sono una prerogativa della natura e dell'habitat umano. Soprattutto alzando lo sguardo.
Agli amici che
mi ospitano a Wellington, avanzo la richiesta di recarci in campagna: in
effetti non si possono trascorrere anche pochi giorni in Nuova Zelanda senza
riuscire ad apprezzare dal vivo la normalità bella del countryside, il verde più verde di questo Paese grande come l'Italia
ma popolato da soli 4 milioni di abitanti. Si decide perciò di andare a far brunch a Martinborough, la capitale
neozelandese del pinot noir, ad un centinaio di chilometri dalla capitale.
Scavalcata la Rimutaka Range, verdissima e densissima di vegetazione, la
campagna si fa piatta, allungandosi quasi per effetto del vento, che riesce a
piegare gli alberi e da queste parti fors'anche la terra e le pietre. È una
campagna popolata da mucche e pecore, più che da umani: le fattorie sono
sparse, i mezzi meccanici radi, gli uccelli restano appollaiati sui rami dei pochi
alberi che s’intromettono nei pascoli.
Martinborough
si annuncia con tre o quattro tenute dove si coltiva la vigna e si produce
vino: pinot noir, soprattutto, ma anche riesling, cabernet e merlot e semillon.
Sui filari stanno maturando grappoli di uva fitti e massicci, che paiono
promettere un buon sacco. Non un solo filo d'erba è fuori posto, i fiori sono
piantati in modo preciso per ingentilire la scena, gli alberi di essenze spesso
sconosciute in Europa segmentano lo spazio, conquistando alla vista degli umani
l'abitabilità del pianeta. Le casette dipinte di banco e di tinte pastello – il
beige, il rosa, il verde acqua, il rosa, il cremisi, il celeste – si
intrufolano nella vegetazione con uno straordinario gusto; ma in realtà con il
loro fare sbizzarrito e in fondo timido, non provano eccessiva difficoltà nel
trovare l'armonia giusta, quella che fa sì che la Nuova Zelanda sia terra
di natura e di bellezza. Non da cartolina, anche se qualcuno potrebbe pensarlo
perché qui la qualità estetica e quella naturalistica vanno sempre associate,
per avere il buon senso della giustizia estetica.
Ma a
Martinborough scopro soprattutto i cieli di questa remota regione del pianeta:
larghi, ampi, senza confine, azzuffati o azzimati. L'abitato è basso, la
vegetazione non svetta e la terra è forse addirittura leggermente convessa per
fare spazio al cielo, anzi ai cieli. Nei quali appaiono e scompaiono, si fanno
e si disfanno, i ciuffi di rafia, di saggina, di cotone, di seta e talvolta
pure di lana delle nuvole. E così mi diverto un mondo a fotografare i frontoni
delle casette di legno del piccolo centro cittadino – una piazza alberata, quattro
o cinque bar, un paio d'hotel e qualche negozietto carino che espone oggetti di
artigianato vinicolo – alla base dell'inquadratura, col resto della foto tutto
di cielo. Ed ogni fotografia è un cielo diverso. Passo così di cielo in cielo.
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