Viaggio in Asia e Oceania/ 6 - Un sobborgo di Auckland battuto dal vento svela la sua identità più vera.
Ho
appuntamento con un deputato al parlamento neozelandese in un sobborgo di
Auckland, St Heliers, all'imbocco dell'omonima baia che si apre a sud del
centro commerciale della città più popolata del Paese dei kiwi. Un quartiere
indubbiamente residenziale, forse addirittura esclusivo. Arrivo con largo
anticipo, con un taxi che mi ha svuotato il portafoglio dalle (brutte) banconote
di plastica di un Paese, come la Nuova Zelanda, che non ha nemmeno una sua
costituzione. Tira un vento da Nord come Dio comanda, le nuvole ricoprono ogni
centimetro quadrato di cielo, mentre cade una sottile pioggerellina, i francesi
direbbero del crachin, che pare
volersi confondere con l'umidità già di per sé sospesa nell'aria. Insomma, non
sono proprio le condizioni migliori per godersi il paesaggio e carpire qualche
segreto di quest'angolo di terra dei kiwi che, in altre condizioni,
brulicherebbe di gente e attirerebbe frotte di fotografi da cartolina. O forse
no.
Fatto sta che
mi accorgo che di gente ce n'è proprio tanta: non quella che consuma il suo
appetitoso brunch in uno dei tanti
caffè alla moda che con una certa civetteria si offrono ai clienti, ma tutti
quelli che nel canale tra St Heliers e l'isola di Rangitoto sfidano le
condizioni atmosferiche per far della vela o del surf trascinato da parapendio.
Debbo aguzzare la vista, ma ne conto una quantità impressionante, diverse
centinaia, al punto che non me la sento più di usare il verbo “sfidare”,
preferendo piuttosto “assecondare” le condizioni meteorologiche. E allora, nel
mio piccolo anzi piccolissimo, mi concedo un'ora di passeggiata sulla riva del
mare, attrezzata in modo perfetto per chi vuol fare della bicicletta, del
jogging o una semplice promenade.
Bizzarramente mi ritrovo in giacca e cravatta (mentre il deputato si presenterà
poi per l’intervista in maglietta e bermuda!), e in qualche modo mi sento un
po' a disagio, fuori posto. Ma non è male ridere un po' di sé stessi, raccogliere
sul risvolto della giacca qualche spruzzo salato delle onde che s'infrangono sugli
scogli, cercare di fotografare le vele lontane nonostante sia un'impresa
riuscire anche solo a tenere fermo il teleobiettivo. E avanzo e avanzo,
divertendomi non poco, e pensando con un minimo di sana compassione ai colleghi
rimasti in ufficio. Anche se mi attendono 26 ore di aereo per tornare a casa.
Tutto si paga, anche il vento dei kiwi.
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