mercoledì 20 febbraio 2013

St Heliers, il vento dei kiwi e le vele piegate


Viaggio in Asia e Oceania/ 6 - Un sobborgo di Auckland battuto dal vento svela la sua identità più vera.

Ho appuntamento con un deputato al parlamento neozelandese in un sobborgo di Auckland, St Heliers, all'imbocco dell'omonima baia che si apre a sud del centro commerciale della città più popolata del Paese dei kiwi. Un quartiere indubbiamente residenziale, forse addirittura esclusivo. Arrivo con largo anticipo, con un taxi che mi ha svuotato il portafoglio dalle (brutte) banconote di plastica di un Paese, come la Nuova Zelanda, che non ha nemmeno una sua costituzione. Tira un vento da Nord come Dio comanda, le nuvole ricoprono ogni centimetro quadrato di cielo, mentre cade una sottile pioggerellina, i francesi direbbero del crachin, che pare volersi confondere con l'umidità già di per sé sospesa nell'aria. Insomma, non sono proprio le condizioni migliori per godersi il paesaggio e carpire qualche segreto di quest'angolo di terra dei kiwi che, in altre condizioni, brulicherebbe di gente e attirerebbe frotte di fotografi da cartolina. O forse no.
Fatto sta che mi accorgo che di gente ce n'è proprio tanta: non quella che consuma il suo appetitoso brunch in uno dei tanti caffè alla moda che con una certa civetteria si offrono ai clienti, ma tutti quelli che nel canale tra St Heliers e l'isola di Rangitoto sfidano le condizioni atmosferiche per far della vela o del surf trascinato da parapendio. Debbo aguzzare la vista, ma ne conto una quantità impressionante, diverse centinaia, al punto che non me la sento più di usare il verbo “sfidare”, preferendo piuttosto “assecondare” le condizioni meteorologiche. E allora, nel mio piccolo anzi piccolissimo, mi concedo un'ora di passeggiata sulla riva del mare, attrezzata in modo perfetto per chi vuol fare della bicicletta, del jogging o una semplice promenade. Bizzarramente mi ritrovo in giacca e cravatta (mentre il deputato si presenterà poi per l’intervista in maglietta e bermuda!), e in qualche modo mi sento un po' a disagio, fuori posto. Ma non è male ridere un po' di sé stessi, raccogliere sul risvolto della giacca qualche spruzzo salato delle onde che s'infrangono sugli scogli, cercare di fotografare le vele lontane nonostante sia un'impresa riuscire anche solo a tenere fermo il teleobiettivo. E avanzo e avanzo, divertendomi non poco, e pensando con un minimo di sana compassione ai colleghi rimasti in ufficio. Anche se mi attendono 26 ore di aereo per tornare a casa. Tutto si paga, anche il vento dei kiwi.

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