Viaggio nell'isola di Rodi/3 - Un monastero sulla montagna, una storia lunga e travagliata, il restauro realizzato dagli italiani
Filérimos e i pavoni. Per l’antichità classica gli animali che fanno la ruota sono simbolo dell’immortalità. Ebbene, è forse per questo motivo che attorno al monastero che domina Ialyssós e Ixiá si sono tanti pavoni! La storia qui ha sì dimostrato l’immortalità di Dio, ma anche la fondamentale finitezza dell’essere umano: qui sorgeva l’acropoli della città di Ialyssós, qui ebbe i suoi natali il fondatore di Rodi, Dorieo, qui in epoca bizantina fu fondato un monastero dal nome curioso – amico della solitudine –, dove veniva conservata una celebre icona della Vergine. Più tardi i Cavalieri di San Giovanni ne presero possesso, e lo stesso Solmano volle stabilirvi il suo quartier generale nel 1522, quando conquistò Rodi. Ancora qui tedeschi e italiani si combatterono, e poi gli italiani restaurarono il monastero…
Ed è con questo spirito che la visita a Filérimos da
subito appare un tuffo nella lunga storia di quest’isola di Rodi che pare
abitata da lunghi, lunghissimi misteri e giravolte della storia. Gli stessi
edifici lo testimoniano. La torre-chiesa-campanile, veramente originale, non
c’è che dire, pare quasi un luogo romantico: da uno dei suoi quattro balconi
non mi sorprenderei di veder spuntare le trecce corvine di una giulietta
locale, nel qual caso mi trasformerei immediatamente in un novello romeo. La
cappella sottostante, che s’apre sui resti di un tempio di Atena del IV secolo
a.C., conserva, nella sua penombra rischiarata dalle gialle e odorose candeline
usate nelle chiese ortodosse, un intatto mistero cavalleresco. Potrebbe essere
una sala d’armi o un salone di pianificazione bellica, o fors’anche una stalla
per i loro destrieri. E forse lo è stata, magari a più riprese, con cambiamenti
della destinazione d’uso. Sono stati guarda caso, come già detto, gli italiani
a restaurare questo monastero di Filérimos durante il breve ma intenso periodo
di colonizzazione di targa mussoliniana.
Dalla collina di Filérimos lo sguardo spazia tutt’attorno,
senza limitazione alcuna. La
Turchia è a portata di mano e anche le isole e le isolette
del Dodecaneso. Da qui certamente potevano essere controllate le coste e le
brevi pianure dell’isola di Rodi. E da qui si poteva senza dubbio meditare sulle
alterne vicende umane e sull’irraggiungibile perfezione divina. Per questo mi
pardi capire come il monastero dei cavalieri fosse stato costruito proprio qui:
perché il militare e il religioso qui possono senza problemi convivere.
Cercando i necessari compromessi. Quali? Quelli che mi suggeriscono i pavoni
che scorrazzano sulla lunga scalinata che conduce al monastero: quelli dettati
dalla bellezza.
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