Viaggio in America Latina/4 - Una lunga terrazza che dà sul Pan di zucchero, con un gioiello di Niemeyer
Delusione, stamani, impossibile salire al Corcovado, tutti i
biglietti sono stati comprati da tempo, c’è la Gmg e la città deborda di ragazzi e ragazze – ma
anche di preti e catechisti, suore e pie donne – che occupano miti ma decisi
tutta la città. Anche al Pan di zucchero rinuncio a salire, un tassista mi
sconsiglia vivamente di perdere tempo alla Praia Vermelha, da dove parte la
funicolare per salire sullo scoglio più fotografato del mondo. Mi decido per un
mesto giro nel centro della città, che quest’oggi mi appare per quello che è, una
città decadente, di passata gloria.
Arrivato alla Praça XV Novembro, mi spingo verso la baia e
capito al molo da cui partono le navi per Niterói. Qualche secondo basta per
mettere a fuoco il nome, associarlo a Oscar Niemeyer e al museo di arte moderna
da lui progettato e via, il traghetto parte in due minuti. La scelta si rivela
quella giusta perché, dopo una ventina di minuti, s’arriva in una città che
pure ha qualche bellezza – tre o quattro begli edifici coloniali e la Fortaleza
di Santa Cruz –, ma che soprattutto è una terrazza sulla cidade maraviliosa, Rio de Janeiro. Amata (perché porta affari e
turismo) e odiata (perché qui la gente ci viene sostanzialmente per ammirare
Rio dall’altra parte della baia. Effettivamente la vista è superba, la migliore
che si possa avere sulla città dell’effimero “fiume di gennaio”.
Una vista che mi accompagna nella mezz’ora di camminata che mi
separa dal museo di Niemeyer: una contemplazione della bellezza della natura
locale, che il Creatore ha voluto degnare di una straordinaria conformazione
geologica, con quegli spuntoni di roccia arrotondati che paiono gendarmi
gentili, o grossi seni oblunghi a cui l’umano può abbeverarsi, o ancora
escrescenze della terra desiderosa di osservare la incantevole baia dinanzi
alla città che sarebbe nata. Ogni passo apre una nuova prospettiva, ogni
sospiro una crescita del mio tasso di umanità, ogni sguardo la necessità di
immortalare quei momenti. Non resisto alla tentazione di una noce di cocco
lungo la strada, da una baracchina che vale mille Fouquet’s, mille Torre
d’argento, per la posizione a dir poco incantevole del sito.
Finché, passata un’isoletta con una deliziosa bianca chiesetta
coloniale che pare un bacio degli dèi del Brasile – cristiani veramente? –,
ecco che appare l’idea geniale di Oscar il centenario, il museo forse più bello
che esista in questo Paese, uno dei più affascinanti del mondo intero. È un
vaso di pandora e un’astronave, un ciborio votivo e un corpo in orazione, il
simbolo della morte e insieme quello della risurrezione: inaugurato nel 1996,
spicca per il suo pilastro centrale di appena nove metri di diametro! E allora
l’apoteosi della natura e della cultura avviene congiuntamente, sia che si
rimanga ad ammirare le forme esterne del museo, sia che si osservino le opere
d’arte racchiuse nello scrigno di Niemeyer: mille pezzi di arte contemporanea
brasiliana, donati da João Sattamini. In effetti qui a Niterói forma e
contenuto coincidono, quel che si vede fuori corrisponde a quel che si scorge
all’interno. È anche questo il miracolo delle città gemelle di Rio e Niterói,
che vivono l’una per l’altra, l’una avversa all’altra, sin dai tempi antichi in
cui i francesi (?!) conquistarono per breve tempo la città.
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