Viaggio in Kazakistan/4 - Uno specchio d'acqua di carattere alpino, le brutture del collettivismo, la semplicità della gente locale
Non è certo allettante l’avvicinamento a uno dei laghi alpini più pittoresco e suggestivi del Kazakistan, il lago di Yesik, che prende il nome dell’omonima cittadina che giace nella valle, anzi all’inizio dell’infinita piana di queste parti, che qualche decina di chilometri più a Nord diventa steppa. Il fatto è che, salendo nella valle, ci si trova accompagnati da enormi tubature azzurre stese a fianco della strada, solo per risparmiare sul loro interramento. Appaiono qua e là pertugi e fessure che lasciano fuggire torrenti d’acqua. Cipressi e pini e noccioli e betulle e qualche quercia. Finché la strada si fa ripida. C’è pochissima gente in giro. Strisce di abeti scendono a scala dai pendii erbosi come slavine di color verde scuro sul verde chiaro dei prati. E si debbono sopportare le consuete brutture vetero-comuniste: una torre antincendio, casamatte abbandonate, cottage di cui rimangono solo tetti sfondato e pilastri marciti.
Finché il miracolo appare, non appena scavalcato l’ennesimo passo: un lago alpino color verde pallido tendente al grigio, lattiginoso. L’aria è fresca, le montagne boscose, in lontananza si ammirano i ghiacciai del Tien Shan. Creste di pini, ciuffi di abeti, conifere isolate, betulle flessuose e argentee. Delle rocce penetrano nel lago, invitano alla meditazione seduti sulla loro sommità. C’è pure la consueta sporcizia, purtroppo. Un gruppo di kazaki, una grande famiglia di Yesik, fa picnic sotto gli alberi: una ventina di persone salite quassù con un pulmino che avrà cinquant’anni. Mi invitano a prendere il chai con loro. Gioia e curiosità reciproche. Le donne più mature hanno i denti d’oro e appaiono più estroverse delle giovani. Gli uomini giocano a una sorta di backgammon. I bimbi corrono e si divertono. Come al solito non c’è nessun straniero nei paraggi.
Cammino verso Occidente dove emergono grosse infrastrutture di cemento atte a canalizzare le acque a fini alimentari, agricoli e idroelettrici. Orrori. Ma perché? Tre tecnici controllano la tenuta delle installazioni che appaiono consumate dal tempo. È proprio triste che le bellezze naturalistiche del Kazakistan siano gravemente danneggiate dalle scellerate infrastrutture di marca comunista e dalla trascuratezza dei comportamenti umani, come testimoniano le brutture sparse ovunque. È emendabile tutto ciò? Là buona volontà c’è, come testimonia una scaletta in pietra e cemento che risale dal lago fino al parcheggio, equipaggiata di grossi secchi di alluminio per raccogliere l’immondizia. Ma i contenitori restano vuoti o quasi, mentre tutt’attorno si estende il cimitero della maleducazione.
Forse non caso il lago era noto fino al 1963 come “la perla del Tien Shan” per le sue acque colorate di un azzurro unico nel suo genere. In quell’anno una terribile valanga-frana scese a valle provocando morte e distruzione. Il suo nome divenne perciò semplicemente “Lago di Yesik”.
Non è certo allettante l’avvicinamento a uno dei laghi alpini più pittoresco e suggestivi del Kazakistan, il lago di Yesik, che prende il nome dell’omonima cittadina che giace nella valle, anzi all’inizio dell’infinita piana di queste parti, che qualche decina di chilometri più a Nord diventa steppa. Il fatto è che, salendo nella valle, ci si trova accompagnati da enormi tubature azzurre stese a fianco della strada, solo per risparmiare sul loro interramento. Appaiono qua e là pertugi e fessure che lasciano fuggire torrenti d’acqua. Cipressi e pini e noccioli e betulle e qualche quercia. Finché la strada si fa ripida. C’è pochissima gente in giro. Strisce di abeti scendono a scala dai pendii erbosi come slavine di color verde scuro sul verde chiaro dei prati. E si debbono sopportare le consuete brutture vetero-comuniste: una torre antincendio, casamatte abbandonate, cottage di cui rimangono solo tetti sfondato e pilastri marciti.
Finché il miracolo appare, non appena scavalcato l’ennesimo passo: un lago alpino color verde pallido tendente al grigio, lattiginoso. L’aria è fresca, le montagne boscose, in lontananza si ammirano i ghiacciai del Tien Shan. Creste di pini, ciuffi di abeti, conifere isolate, betulle flessuose e argentee. Delle rocce penetrano nel lago, invitano alla meditazione seduti sulla loro sommità. C’è pure la consueta sporcizia, purtroppo. Un gruppo di kazaki, una grande famiglia di Yesik, fa picnic sotto gli alberi: una ventina di persone salite quassù con un pulmino che avrà cinquant’anni. Mi invitano a prendere il chai con loro. Gioia e curiosità reciproche. Le donne più mature hanno i denti d’oro e appaiono più estroverse delle giovani. Gli uomini giocano a una sorta di backgammon. I bimbi corrono e si divertono. Come al solito non c’è nessun straniero nei paraggi.
Cammino verso Occidente dove emergono grosse infrastrutture di cemento atte a canalizzare le acque a fini alimentari, agricoli e idroelettrici. Orrori. Ma perché? Tre tecnici controllano la tenuta delle installazioni che appaiono consumate dal tempo. È proprio triste che le bellezze naturalistiche del Kazakistan siano gravemente danneggiate dalle scellerate infrastrutture di marca comunista e dalla trascuratezza dei comportamenti umani, come testimoniano le brutture sparse ovunque. È emendabile tutto ciò? Là buona volontà c’è, come testimonia una scaletta in pietra e cemento che risale dal lago fino al parcheggio, equipaggiata di grossi secchi di alluminio per raccogliere l’immondizia. Ma i contenitori restano vuoti o quasi, mentre tutt’attorno si estende il cimitero della maleducazione.
Forse non caso il lago era noto fino al 1963 come “la perla del Tien Shan” per le sue acque colorate di un azzurro unico nel suo genere. In quell’anno una terribile valanga-frana scese a valle provocando morte e distruzione. Il suo nome divenne perciò semplicemente “Lago di Yesik”.
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