Viaggio in America Centrale/1 - Nel cuore del Paese che ospita straordinarie testimonianze delle civiltà mesoamericane. Ma i terremoti hanno fatto danni.
Comincia bene la visita a Ciudad del Guatemala, che per i locali si chiama semplicemente Guatemala: una panne d’auto di cui il nostro corpulento autista di nome Julio non riesce a farsene una ragione. Perché la sua giapponese Mazda, potente e corpulenta come lui, non dovrebbe essere sottoposta a simili contingenze. Poco male, si entra in merito, si entra in Guatemala dove, mi dicono, le panne d’auto sono all’ordine del giorno.
Abbiamo appena avuto il tempo di osservare da qualche viadotto ardito la conformazione di questa città di quattro milioni di abitanti: costruita su colline piatte sulle sommità, ma precipitanti d’improvviso in valli anguste, quasi degli abissi improvvisi, dei mancamenti orografici, le municipalità hanno riservato le zone relativamente piane al business e alle residenze danarose, mentre aggrappati ai dirupi si sono sviluppati i quartieri della povertà, mimetici al rilievo e alla miseria umana. Calli strette e ripide, assenza di commerci, sporcizia e degrado. Come sempre, come ovunque nel mondo, o quasi. Dall’alto il vastissimo abitato ieri pomeriggio all’atterraggio impressionava per la conformazione regolare dei quartieri più ricchi e per il disordine di quelli più poveri, mentre quest’oggi dal basso impressiona per la pendenza impossibile delle pareti dei dirupi – non oso nemmeno immaginare gli effetti devastanti di inondazioni e terremoti, qui frequentissimi – ma anche per l’organizzazione degli abitati aggrappati a queste colline scoscese.
Il Parque Central è il cuore vecchio della città, organizzata in modo assai originale, con calli e avenide numerate, con numerose eccezioni, però. In realtà i terremoti succedutisi nei secoli nella zona – anche ieri c’è stato un fortissimo terremoto in Messico, che tuttavia sembra non aver fatto vittime – non hanno permesso la permanenza di una città armonica di stile coloniale, come è invece accaduto in altre città mesoamericane, e così anche il cuore del Parque Central alterna palazzi decorosi – come il Palacio Nacional de la Cultura, tendente al verde e la Catedral Metropolitana –, ad altri palazzi francamente da dimenticare.
Il Museo diocesano attiguo alla Catedral espone testimonianze toccanti della fede di questo popolo, sempre legata al sangue, metaforicamente ma anche realmente, come testimoniano le lettere autografe scritte col proprio sangue da una suora in odore di santità, Madre Maria Teresa Aycinena Piñol. Da visitare.
Dietro la Catedral, invece, il mercato artigianale e quello ortofrutticolo accompagnano il visitatore con la loro carica si colori, di voci – sempre contenute, a dire il vero –, di odori e sapori, ma soprattutto del sorriso immancabile di coloro, soprattutto donne, che cercano di avvicinarti per venderti la loro mercanzia.
C’è una certa insicurezza per le strade, ci si guarda sempre attorno, si evita di esporre troppo a lungo le macchine fotografiche, si cambia itinerario rapidamente, non si staziona troppo a lungo: è nota la presenza di personaggi dediti di professione al borseggio, come d’altronde in quasi tutte le grandi capitali del continente americano, da Nord a Sud. Ma l’atmosfera è comunque rilassata, attenta alla persona più che alle cose.
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