Curioso: il sito maya più straordinario e visitato dell’Honduras ha assunto il nome di Copán, mentre il borgo colonial attiguo al parco archeologico ha assunto già nel secolo scorso il nome di Copán Ruinas, cioè “Rovine di Copán”. Forse per incrementare la capacità turistica del sito, anzi certamente; ma a me piace pensare che questo nome sia stato attribuito al borgo per sottolinearne la dimensione tranquillizzante della storia, la sua lentezza.
A cominciare dal ponticello che segue l’ingresso del borgo, che è lastricato di sassi – non di lastre di pietra o di pietre ben scompaginate, senza cioè alcuna volontà equilibratrice –, e costringe ad un’andatura assolutamente a passo d’uomo. E non è che il ponte sia un’eccezione: tutto il paese è lastricato allo stesso modo. Chi conduce a più di cinque-dieci chilometri all’ora rischia seriamente di mandare a quel paese le sospensioni, se non addirittura i semiassi.
C’è poi la temperatura che detta legge, costantemente sui 35 gradi, che invita alla calma, alla pausa prolungata, alla siesta, al descanso: basta far due passi nel Parque Central, dove nessuno cammina tranne il sottoscritto, perché tutti sono seduti sulle panchine, sui bordi delle aiuole, sui tavolini, per terra. Qualche bancarella vende frutta, gelati o souvenir, ma i venditori non hanno nessuna intenzione di spendere un po’ del loro fiato per attirare i clienti.
Entro in un ristorante, dove mi servono frittelle di mais secche con una crema di avocado, una delizia, assieme ad una buona birra locale, Imperial si chiama. Un ristorante aperto, senza finestre, ricoperto di ogni sorta di targa, statuetta, dipinto, copricapo, strumento musicale… Un bailamme gradevolissimo. Tutto va lento, anche la musica… Fuori, un uomo sta caricando il suo cavallo, all’ombra ovviamente, con una tranquillità che sfiora la stasi. Nel ristorante d’improvviso trasmettono la telecronaca di Salvador-Honduras, decisiva per la qualificazione alle olimpiadi. I telecronisti paiono assatanati, mentre gli avventori del bar al contrario sembrano prendere con estrema filosofia anche i gol della nazionale avversaria.
Torno nel Parque Central, entro nella chiesa colonial. C’è una frescura appena accennata, c’è gente che prega. O che dorme? Poco importa. La preghiera può essere composta anche dei sonni del giusto!
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