Agosto 1964. Un albergo, un lago dolomitico, le Tre Cime di Lavaredo...
Venivamo da Padola di Cadore, nel Comelico, da una
cinquantina di chilometri di distanza, dove trascorrevamo le nostre vacanze
estive. Il lago di Misurina era un sogno, perché quello specchio d’acqua largo
e incantevole, incastonato tra le montagne ampezzane, mi pareva un pezzo di
cielo disceso in terra, quasi una benedizione per la terra dolomitica. Anche
se tutte le volte che ci eravamo avventurati fin lassù, quasi sempre avevamo
trovato tempo inclemente. Ma aspettavamo che le Tre Cime di Lavaredo
apparissero per un attimo in mezzo alle nuvole, ed ecco che la mia, nostra
gioia era piena. Proprio così, basta poco per gioire. E poi c’intrigava il
Grand Hotel Misurina, che chiudeva il lato meridionale del lago, quello verso il Cristallo, maestoso,
giallo e umido negli intonaci. Avevo fantasticato avventure mirabolanti in
quelle stanze. Finché arrivò il gran giorno, il Conte di Carpegna in persona ci
invitava a pranzo! Incredulità. I genitori ci vestirono a festa, ma non avevamo
granché con cui abbigliarci per una reception.
L’avventura fu in realtà un piccolo inferno: i camerieri, i genitori e gli ospiti
ci controllavano in ogni nostro movimento. Io inciampai per le scale. Mio
fratello Cesco se la fece addosso e la Tatina stette male in auto. Pioveva. Ma
all’uscita, scendendo i pochi gradini del perron,
d’improvviso il cielo lasciò filtrare uno squarcio azzurro che subito fu
riflesso nel lago: le Tre Cime!
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