Natale ai
tropici. A Capo Verde. Anche qui si rinasce.
Arcipelago di Capo Verde. Isola di Fogo. Villaggio di Portela. Al centro della Chã das Caldeiras, ai piedi del vulcano attivo Pico de Fogo, il paesello si rivela uno spaccato antropologico di tutto rispetto. Case basse, del color della lava, squadrate secondo il modello contemporaneo o a pianta circolare secondo la tradizione, si alternano in un disordine urbanistico che pare in realtà la riproduzione in scala di una colata. L'atmosfera pare natalizia per il semplice e inusitato fatto che sulla lava, e quindi anche nell'abitato, crescono spontanee delle splendenti piante rosse, che anche qui chiamano stelle di Natale. Nella piazzetta del paesello, che conta mille abitanti assieme al borgo attiguo di Bangaeira, un branco disordinato di ragazzini neri come la lava gioca a calcio con un pallone pure nero, che pare una bolla di lava sgonfia. Lì vicino si fronteggiano la chiesa avventista, tutta bianca e azzurra, e quella cattolica, più articolata, dalle imposte verdi. Poi la scenetta familiare di una giovanissima madre che elabora con perizia le treccine delle sue due figliolette, una nera come lei, l'altra bionda con gli occhi azzurri, ricordo della storia antica d'un francese che nel XVIII secolo si fermò da queste parti, incantato dalla bellezza del luogo, impiantando la vite, avviando un reale progresso sociale della popolazione e spargendo il suo seme ai quattro venti: pare che un quinto della popolazione abbia il suo sangue, e talvolta i suoi capelli biondi. Poi il centro del paese, un bar angusto gestito da Ramiro, un'epopea da solo, musicista e vinaiolo e vate e gendarme (perché qui c'è una stazione di polizia, ma vuota). Gli avventori stanno sulla strada a sorbire vino e ad ascoltare musica suonata rigorosamente dal vivo.
Penetro poi per un viottolo nella seconda e nella terza fila di case, attirato da una abitazione circolare che mi pare perfetta per far da pari, nel mio obiettivo, con il cono rovesciato del Pico de Fogo. Dinanzi all'edificio scorgo un bue e un asinello, è tempo di Natale, la scena evoca altre contrade povere di altri tempi. Ma tra i due animali non c'è nessuna mangiatoia. Solo un telaio arrugginito di chissà quale auto. Un po' deluso, mi accingo a fotografare la casa dal tetto conico allorché mi accorgo che, dentro l'angusta porticina aperta mi guardano quattro occhi. Mi avvicino, metto la testa appena dentro la stanza circolare: un giovane uomo tiene in braccio il suo piccolo. L’uomo mi dice di chiamarsi Firmino, così come il suo erede. Mi invita ad entrare. Gli occhi si assuefanno al buio, mettendo a fuoco un caos quasi primordiale. Tutto il loro bene è affastellato lungo il muro circolare. Ed è allora che mi accorgo che, in un angolo che non è un angolo perché non potrebbe esserlo, ma che è il centro della scena, una donna dall'età indefinibile sta scaldando dell'acqua su un misero fuoco di carbone. Mi offre del tè. Mi sorride, e il suo sorriso accende nel mio cuore un'idea dapprima confusa, poi sempre più chiara, man mano che ne distinguo i tratti delicati del volto: Maria. Ecco, mi dico, che il presepio si completa: sì, d'accordo, a Betlemme era Giuseppe ad avere un'età indefinibile e Maria era la giovane, la giovanissima tutta bella. Ma il presepio è innumerevolmente riproducibile perché cambiando i fattori il prodotto non cambia. Questo è il mio presepio 2012.
Lasciamo Chã das Caldeiras in una luce serale che pare rendere il mare di lava, da impressionante che era nella sua massiccia neritudine, ad impressionante come un mare in tempesta. Tutto prende rilievo, creando infiniti movimenti di magma, mentre la ferita del Pico Pequeno pare riprendere a sanguinare e la luna fa capolino dietro una lingua di lava che pare un arco, proprio dove il Pico de Fogo scende precipitosamente a valle. Risalgo al passo dove inizia il parco nazionale. E riappare. Lui. Il mare, l'oceano, il liquido amniotico del mondo bambino che anche quest'anno rinasce. Sì, rinasce. L'ho visto lassù, a Chã das Caldeiras. Sì chiamava Gesù Firmino.
Arcipelago di Capo Verde. Isola di Fogo. Villaggio di Portela. Al centro della Chã das Caldeiras, ai piedi del vulcano attivo Pico de Fogo, il paesello si rivela uno spaccato antropologico di tutto rispetto. Case basse, del color della lava, squadrate secondo il modello contemporaneo o a pianta circolare secondo la tradizione, si alternano in un disordine urbanistico che pare in realtà la riproduzione in scala di una colata. L'atmosfera pare natalizia per il semplice e inusitato fatto che sulla lava, e quindi anche nell'abitato, crescono spontanee delle splendenti piante rosse, che anche qui chiamano stelle di Natale. Nella piazzetta del paesello, che conta mille abitanti assieme al borgo attiguo di Bangaeira, un branco disordinato di ragazzini neri come la lava gioca a calcio con un pallone pure nero, che pare una bolla di lava sgonfia. Lì vicino si fronteggiano la chiesa avventista, tutta bianca e azzurra, e quella cattolica, più articolata, dalle imposte verdi. Poi la scenetta familiare di una giovanissima madre che elabora con perizia le treccine delle sue due figliolette, una nera come lei, l'altra bionda con gli occhi azzurri, ricordo della storia antica d'un francese che nel XVIII secolo si fermò da queste parti, incantato dalla bellezza del luogo, impiantando la vite, avviando un reale progresso sociale della popolazione e spargendo il suo seme ai quattro venti: pare che un quinto della popolazione abbia il suo sangue, e talvolta i suoi capelli biondi. Poi il centro del paese, un bar angusto gestito da Ramiro, un'epopea da solo, musicista e vinaiolo e vate e gendarme (perché qui c'è una stazione di polizia, ma vuota). Gli avventori stanno sulla strada a sorbire vino e ad ascoltare musica suonata rigorosamente dal vivo.
Penetro poi per un viottolo nella seconda e nella terza fila di case, attirato da una abitazione circolare che mi pare perfetta per far da pari, nel mio obiettivo, con il cono rovesciato del Pico de Fogo. Dinanzi all'edificio scorgo un bue e un asinello, è tempo di Natale, la scena evoca altre contrade povere di altri tempi. Ma tra i due animali non c'è nessuna mangiatoia. Solo un telaio arrugginito di chissà quale auto. Un po' deluso, mi accingo a fotografare la casa dal tetto conico allorché mi accorgo che, dentro l'angusta porticina aperta mi guardano quattro occhi. Mi avvicino, metto la testa appena dentro la stanza circolare: un giovane uomo tiene in braccio il suo piccolo. L’uomo mi dice di chiamarsi Firmino, così come il suo erede. Mi invita ad entrare. Gli occhi si assuefanno al buio, mettendo a fuoco un caos quasi primordiale. Tutto il loro bene è affastellato lungo il muro circolare. Ed è allora che mi accorgo che, in un angolo che non è un angolo perché non potrebbe esserlo, ma che è il centro della scena, una donna dall'età indefinibile sta scaldando dell'acqua su un misero fuoco di carbone. Mi offre del tè. Mi sorride, e il suo sorriso accende nel mio cuore un'idea dapprima confusa, poi sempre più chiara, man mano che ne distinguo i tratti delicati del volto: Maria. Ecco, mi dico, che il presepio si completa: sì, d'accordo, a Betlemme era Giuseppe ad avere un'età indefinibile e Maria era la giovane, la giovanissima tutta bella. Ma il presepio è innumerevolmente riproducibile perché cambiando i fattori il prodotto non cambia. Questo è il mio presepio 2012.
Lasciamo Chã das Caldeiras in una luce serale che pare rendere il mare di lava, da impressionante che era nella sua massiccia neritudine, ad impressionante come un mare in tempesta. Tutto prende rilievo, creando infiniti movimenti di magma, mentre la ferita del Pico Pequeno pare riprendere a sanguinare e la luna fa capolino dietro una lingua di lava che pare un arco, proprio dove il Pico de Fogo scende precipitosamente a valle. Risalgo al passo dove inizia il parco nazionale. E riappare. Lui. Il mare, l'oceano, il liquido amniotico del mondo bambino che anche quest'anno rinasce. Sì, rinasce. L'ho visto lassù, a Chã das Caldeiras. Sì chiamava Gesù Firmino.
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