Viaggio in Asia e Oceania/1 - Finché non afferri la mano di uno dei suoi abitanti, e allora capisci il perché di un centro di un milione e mezzo d'abitanti, la terrazza della Malesia su Singapore.
Difficile
afferrare una città come Johor Bahru, che vive della vicinanza di Singapore,
attraverso il braccio di mare – lo stretto di Singapore –, e quindi della buona
posizione economica, come retroterra della grande metropoli anglo-sino-malese,
che continua a svolgere la sua funzione di Svizzera dell’Asia meridionale
nonostante le qualche difficoltà economiche del momento.
Difficile
afferrare una città percorsa, quadrettata direi, da autostrade a tre o quattro
corsie, che la circuiscono ma anche la trafiggono, al punto da impedire lo
sviluppo di un vero centro della città. Pare di dover conoscere solo i pannelli
stradali che riesci a ricordare, e poco altro, qualche raro tempio indù che
appare al di sotto di uno svincolo, le torri degli alberghi della città, spesso
piuttosto pacchiane e mai veramente completate.
Oggi il buon
amico Adrian, cinese che possiede un’avviata fabbrica di cibo surgelato, ci
scorrazza nel centro della città, anche se bisogna dire che per via del
traffico oggi assai difficile, non riusciamo a compiere che poche delle visite
previste, e per giunta di corsa. Ma tant’è, non è che Johor Bahru abbia grandi
attrattive. Fotografo in effetti un modesto tempio indù, un altro di religione
baha’i, la moschea reale del sultano Abu Bakar, qualche palazzo in stile
coloniale (britannico, ovviamente), un paio di musei ospitati in vecchie
abitazioni della metà del XIX secolo, candide e percorse da rigurgiti
europeistici, una dozzina di grattacieli esteticamente potabili, purtroppo inframmezzati
con scarso senso storico alla parte più vecchia della città, e appunto il
centro storico. Che si riduce a poche stradine trafficate e disordinate che
uniscono Little India, Chinatown, concentrati malesi con qualche tocco di
singaporianesimo, una chiesa cattolica neogotica dedicata a Notre Dame.
Non c’è anima
nel centro, perché la città ne ha non pochi di centri, purtroppo coagulatisi attorno
ai mall, ai grandi centri commerciali
dove rivivono i vecchi borghi di shophouse,
cioè le case a due livelli con al piano terra il negozio protetto da una breve
tettoia che si unisce a quelle dell’edificio che la precede e dell’edificio che
la segue, e al piano superiore l’abitazione. Colori sgargianti mal coordinati
tra di loro, nere tracce di umidità, insegne disordinate e spesso pacchiane,
luminarie tra il natalizio e il kitsch…
Questo è il centro di Johor Bahru. Nulla d’importante. Salvo che dopo qualche momento
di indecisione mi accorgo che in fondo non si sta male nella città, che i punti
di riferimento non mancano, che il milione e mezzo di persone che la abitano
sono fieri della loro urbanità, che i ristoranti sono buoni, che la gente ti
sorride, che anche sotto la pioggia ci si diverte a passeggiare…
Johor Bahru è
inafferrabile finché non serri la mano di un suo abitante. Allora abiti la
città e l’apprezzi come una stretta di mano familiare. Appunto.
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