Viaggio a Capo Verde/2 - Fu la prima città fondata da europei nei tropici...
Avevo letto che sarebbe la città più bella della grande isola di Santiago, la principale di Capo Verde. Ed effettivamente debbo riconoscere che è così. Dopo un lungo ed inatteso itinerario per raggiungere la città più antica costruita dagli europei al di sotto dei tropici – per via del rifacimento dell'intera arteria, a sette chilometri dalla meta bisogna inoltrarsi nel brullo paesaggio dell'isola percorrendo una carrareccia rivestita del classico acciottolato importato nelle isole dai portoghesi –, si arriva dall'alto in un ambiente che ha del fiabesco, con una insenatura che incanta per il mare blu cobalto, la terra arsa, i tetti rossi di laterizi rinnovati di recente. Riviera Grande de Santiago è patrimonio dell'umanità secondo l'Unesco, e non poteva essere che così. Scrivo queste note seduto ad un tavolino del Bar Pelourinho, tra galline che starnazzano, grida d'infanti, ammiccamenti innocenti di uomini e donne della pelle proprio scura. Si capisce come si possa perdere la testa da queste parti e decidere di installarvisi. Osservo la colonna del pelourinho, gogna o berlina che il governo portoghese installava in ogni città conquistata per affermare il proprio potere: gli schiavi ribelli venivano incatenati a questa colonna, che a ua lunga storia, perché fu rimossa e poi reinstallata dopo l’indipendenza.
Ma la
visita in questo angolo incantevole delle isole di Capo Verde non poteva che
cominciare dall'alto della Forteza Real de São Filipe costruita nel 1953 dagli
spagnoli, che nel 1580 avevano sottomesso i nemici portoghesi (fino al 1640).
La vista è incantevole da questi impressionanti bastioni di cui restano solo,
appunto, i bastioni, e una cisterna centrale, realizzata nella forma attuale
nel 1720. La vista dell'insenatura è assolutamente unica: le rovine
della cattedrale paiono imponenti nell'abitato, ma minuscole nell'orbe
terracqueo che da qui si ammira. E l'abitato pare alternare rovine e gioielli
senza soluzione di continuità. Nella profonda valle che
penetra nell'interno verso Nord, spiccano i tetti rossi del monastero di São Francisco. La discesa a
valle, lungo la strada in acciottolato:i muri di sostegno sono pittati di
bianco, conferendo ai tornanti qualcosa di fiabesco, allorché allo svoltare della via
d'improvviso appare una figura slanciata, due occhi che ridono e sorridono, a
me, anche a cinquanta metri di distanza; e l'avanzare reciproco, fino ad
incrociarsi, pare una danza della vita senz'altro scopo che il sereno
appagamento della brama estetica.
Scendo
alla spiaggia, scura e in fondo modesta, seppur capace d’attirar gli sguardi. Attorno a
una dozzina di barche tirate in secco, quattro o cinque ragazzetti giocano a
una sorta calcio e di pallanuoto insieme, tra spruzzi e risate, tombole e
risorgenze, mosse da rugbyman e altre
da fiorettisti. Alcune istantanee resteranno nella mia minuscola storia. Salgo
poi alla chiesa dedicata a Nossa Senhora do Rosário, che fu cominciata a
costruire nel 1495 e che possiede un campanile largo quanto la facciata stessa:
si trovano tracce gotiche nelle cappelle laterali, pietre tombali del XV
secolo, dipinti scuriti dal tempo e dall’incuria. Si respira colonial
assoluto, direi. S’apre un pertugio nella muda,
una scala a chiocciola. Malandatissima. Non so come, ma salgo fino alla terrazza
sommitale, sbucando in un cielo azzurrissimo ricamato di palmizi che svettano
flessuosi. Incanto. Poi torno al mare percorrendo rua Banana, una stretta via
dai muri imbiancati che proteggono casette dipinte in modo sgargiante, quasi
sfacciato, se non fosse che qui non potrebbe essere che così. Si sfiora la perfezione a
Ribeira Grande de Santiago. Secca in questa stagione, e quasi sempre. I suoi
abitanti sono anch’essi secchi nei corpi, ma le
loro anime paiono opulente di generosità. Solari.
Dicembre 2012
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