Una delle scuse migliori per viaggiare è quella di partecipare a qualche conferenza. Ti pagano il viaggio, ti sorbisci qualche ora di noia e poi te ne vai in giro per il mondo. Scherzo, ma per tanti è così... Note sparse prese durante una conferenza svoltasi nella Città vuota, nel Paese di nessuno.
Conferenza.
Convenzioni.
I relatori che si elogiano reciprocamente, anche se reciprocamente
non si sono ascoltati.
Studenti che se la spassano con i loro tablet invece di
contribuire al dibattito.
L’elenco delle autorità da ringraziare che s’allunga
intervento dopo intervento.
I concetti astrusi che nessuno capisce ma che
suscitano interesse falso ma sbandierato.
I sonni e gli sbadigli da far uscire
le mascelle dalla mandibola.
Le locandine sempre uguali, scritte con caratteri
a corpo minuscolo.
I relatori che conversano tranquillamente tra di loro mentre
il loro collega pronuncia il suo discorso.
Le suonerie dei telefonini che
urlano irriverenti nei momenti topici della conversazione.
I microfoni che
funzionano ad intermittenza, gracchianti e mutevoli.
I powerpoint illeggibili
che vogliono essere carini, ma che alla fine sono solo inutili.
I pochi
personaggi che sono veramente interessati e che pongono le domande giuste
quando gli astanti hanno già pregustato la fuga per la fine della sessione.
Il
buffet assaltato dagli astanti con una furia che ha paragoni plausibili solo
nell’assalto delle formiche ad un bocconcino prelibato.
Gli sguardi assorti di
certi astanti obbligati che riescono a dormire con le palpebre sollevate.
Le
luci penetranti accese in platea e la penombra del palco. I relatori che bevono
tutta l’acqua delle bottiglie poste sulla cattedra.
La profusione di titoli,
professore di qua, eccellenza di là, commendatore di su e onorevole di giù.
Gli
anglicismi ad effetto, assolutamente inutili, traducibili in italiano al 120
per cento.
Le battute sapienti che suscitano l’ilarità del pubblico.
Il
relatore che si ascolta con malcelata soddisfazione e quello che invece non si
ascolta mai perché è inascoltabile. I circoli ermeneutici e i circoli ermetici.
L’allarme antincendio che si scatena al culmine di una relazione
particolarmente intensa.
Il rettore compito che dà la parola ai relatori
riprendendo la conclusione del relatore precedente pensando così di creare un fil rouge alla conferenza, tra
interventi che in realtà sono incongrui e il più delle volte improvvisati.
Gli
accenni alle vicende personali che interessano solo chi li pronuncia.
Gli
applausi di forma (che scattano puntuali) e quelli di sostanza (che prorompono
quando meno te l’aspetti).
Signorinette che si fanno belle coi docenti, per
fini accademici si spera.
Studenti e studentesse cvhe partecipano al convegno
solamente perché la loro firma è necessaria per avere l’attestato di frequenza.
I professori che giungono trafelati e si piazzano rigorosamente ai margini
dell’uditorio per poter continuare a lavorare al loro dossier.
I giornalisti
che mettono il naso tra le tende, girano la testa a destra e a manca, chiamano
un relatore che si alza dal tavolo degli oratori, gli pongono due domande
stupide e poi scappano via, «debbo correre in redazione», e poi li scopri al
bar di fronte.
I realtori che cominciano la loro prolusione dicendo: «Con un
titolo come questo potrei parlare per tre ore di seguito».
Quelli che invece
dicono: «Sarò brevissimo» e dopo venti minuti sono ancora al preambolo.
Quelli
che aprono venti parentesi nel loro discorso e riescono a non chiuderne nemmeno
una.
Quelli che parlano con le mani e balbettano con la bocca. Quelli che
citano tutti coloro che li hanno preceduti e attendono l’inchino leggero del
loro capo in segno di riconoscenza.
Quelli che presentano un libro che non
hanno mai letto e che sfogliano per la prima volta seduta stante, citando il
primo passo che capita sotto i loro occhi.
Quelli che hanno bevuto troppo al
buffet e che cominciano a scherzare pesantemente senza dir nulla
d’interessante.
Quelli che fanno i disegnini geometrici sul blocco d’appunti
del convegno mentre gli altri relatori stanno parlando.
E il dialogo che tutti
vorrebbero centrale, ampio, ma che si trova ad essere aperto solo a pochi
minuti dalla tassativa chiusura del convegno.
Gli spettatori che siedono
esclusivamente accanto alle belle donne, e quelli che cercano un buon partito
alle conferenze.
Quelli che inciampano sui gradini che salgono al palco e
quelli che, invece di girare attorno al palco per salire i gradini, fanno gli
sportivi e cercano di salirvi con un balzo da saltatore professionista,
restando sempre a mezza altezza.
Quelli che dicono di continuo «e quant’altro»
e «un attimino» e «non so se mi spiego». Coloro che ticchettano durante
l’intera conferenza.
Coloro invece che vedono le figurine sul loro tablet
all’ultimo grido.
Quelli che nella loro conferenza citano i loro ultimi
dieci-volumi-dieci, pubblicati negli ultimi due anni.
L’aria condizionata che
trasforma una città temperata in una Siberia fuori luogo.
O, al contrario,
un’aria condizionata che invece di rinfrescare riscalda e spunta vento bollente sugli astanti.
Quelli che parlano
sfiorando con le dita il microfono, provocando un sinistro sfrigolio.
Gli
spettatori che leggono il mondo sempre e comunque come fosse diviso in destra e
sinistra, bloccandosi ogni volta che si presenta qualche argomento di centro.
Quelli che prima della conferenza cercano nel vocabolario tre o quattro
paroloni desueti per stupire gli astanti.
Quelli che fanno i conferenzieri di
professione e quelli che vorrebbero esserlo.
Quelli che leggono il giornale
nascondendosi dietro gli spettatori della fila dinanzi a loro.
Coloro che
citano sempre l’ultimo papa e quelli che invece ne citano quattro o cinque.
Quelli
che giocano a tetris e nel contempo riescono a seguire il discorso del relatore
di turno.
Il bellimbusto che scatta foto a tutti i relatori piazzandosi per 20
o 30 secondi, lunghissimi, tra pubblico e palco.
Il collezionista di badge da congressi e quello che
raccoglie le ricevute dei boarding pass.
Chi, nel pubblico, scuote costantemente la testa in segno di assenso e quello
che al contrario sindaca a mezza voce ogni parola pronunciata sul palco.
Quelli
che contano in tasca i soldi contanti contenuti nella busta ricevuta dall’organizzatore.
Quelli che, come il sottoscritto, cercano di far passare il tempo di una conferenza
scrivendo fesserie sul prossimo e su sé stesso, come quelle che state leggendo…
1 commento:
è per questi motivi che difficilmente vado a convegni e per gli stessi motivi che quando mi trovo a relazionare provo disagio. Condivido e sono solidale con chi certamente ne affronta più di me...peccato che, nel mucchio, ci sia sempre qualcuno che si spende...
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