Viaggio in Nepal e Bhutan/12 e ultimo - Lascio una terra fantastica, difficile, colorata. Ne valeva la pena
In Bhutan non esiste altra valle che possa ospitare degli aerei della taglia di un A320, non di un Boeing 777. Non esiste altro spazio pianeggiante, o spianabile, di due chilometri di lunghezza. È nella valle di Paro, ad una settantina di chilometri da Thimphu, la capitale del piccolo regno himalayano. Ma c’è un ma. La valle è estremamente ventosa e i due chilometri che ospitano la pista muoiono in due montagne che obbligano il pilota a una doppia virata che, se in partenza è ancora difficile ma fattibile, in atterraggio richiedere perizia e maestria: non è ammesso errore. Senza poi parlare dell’altra decina di virate necessarie per raggiungere quota e velocità adatte al landing. In compenso, sull’aerodromo infonde la sua sicurezza il grande e bellissimo Rimpung Pung Dzong, il centro amministrativo e religioso della regione più occidentale del Paese.
Stamattina levataccia per essere alle 6 all’aeroporto, due ore
prima del volo per Kathmandu. Fa freddo e le nuvole sono basse. Formalità
rapidissime, accompagnate dagli inevitabili sorrisi di tutti, dico tutti, gli
addetti ai voli e alle frontiere. Poi, verso le 7 e mezzo, m’accorgo che in
effetti nessun volo sta partendo, né alcun aereo atterra. Chiedo informazioni,
effettivamente la nebbia copre la visuale della delicata partenza, per cui è
vietato ogni volo prima che il cielo non si liberi delle nuvole. E non è per
niente sicuro che ciò accada rapidamente. C’è solo da attendere con pazienza.
Tanto più che le gentilissime addette offrono ai passeggeri in attesa tè, caffè
e pastorelle. Non ci sono linee invalicabili, sembra di essere nel proprio
ufficio, ci si muove con libertà, si possono lasciare i propri bagagli
incustoditi senza timore alcuno. Par di essere in un altro mondo. Anzi, siamo
in un altro mondo.
1 commento:
grazie michele
conosciamo un po di più il mondo sconosciuto
quello di cui non si parla mai
scorci di un accenno di paradiso
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