Visita domenicale nella capitale della Bretagna, per una cresima collettiva allo stadio.
Capita a volte di giungere in una qualche città senza volerla visitare, ma solamente perché qualche obbligazione ci costringe a visitarla. Così è per Rennes – sono padrino a una cresima –, in questa primavera che oggi splende di sole e d’aria tersa. Rennes, la capitale della Bretagna, la città che venne fondata dai celti armoricani col nome di Condate. In epoca romana venne rinominata come Condate Riedonum. La città sorge ad est della Bretagna, al confine regionale con la Loira. È costruita su una collina, con il lato nord più elevato di quello sud. Si trova all’incontro di due fiumi: l'Ille e la Vilaine.
Oggi si va allo stadio, che solitamente ospita le piroette
dei funamboli del pallone dello Stade Rennais, onesta squadra di Prima
divisione francese. Eh sì, perché l'arcivescovo della diocesi, Pierre d’Ornellas, in un deserto di indifferentismo
se non di ateismo crescente, ha voluto concentrare qui tutte le cresime della
sua diocesi, quella dell’Ille-et-Vilaine. 8oo cresime, 800 cresimandi e altrettanti
padrini o madrine, parenti ed amici per un totale di circa 20 mila presenti. Il
prato è stato decorato con una sorta di pittura geometrica che lascia qualche
perplessità estetica, mentre l’insieme della cerimonia sembrerebbe una copia di
certi show dei televangelisti americani: musica, mani levate, parole ripetute
fino a diventare un ritornello, grande dispiegamento di mezzi, un certo kitsch, come le magliette rosse che sul
petto riportano il logo della giornata – una colomba bianca a forma di croce su
fondo rosso – e sulle spalle il numero 10 e la scritta Messie, cioè Messia, con
un evidente cortocircuito tra la star argentina Lionel Messi e Gesù Cristo.
Le bandiere sventolano a centinaia, maneggiate con passione
più che perizia dai diocesani d’ogni età, anche se i bambini e i ragazzi se la
godono un mondo, ingannando in questo modo il tempo in una cerimonia che dura
la bellezza di quattro ore. Non pochi preti cercano di dirigere l’insieme delle
operazioni, con una certa efficacia, provocata più dalla disciplina dei
presenti che dalla loro perizia organizzativa, che in effetti lascia molto
spesso a desiderare. Indubbiamente lo sforzo pastorale è di quelli che lasciano
il segno: i risultati si vedranno nel tempo, anche se le perplessità non
mancano, per via del totale ed esclusivo afflato della giornata, assolutamente
liturgico, e quindi clericale. Manca la dimensione raccolta del sacramento, a
totale beneficio di quella comunitaria e spettacolare. Manca la possibilità di
centrare e spiegare il senso più profondo del sacramento della cresima, troppo
spesso ormai risultante il “sacramento dell’uscita dalla Chiesa”, perché i
cresimati spesso in quest’occasione cessano di frequentare la Chiesa, se va
bene fino al seguente matrimonio, anni ed anni più tardi.
Un prete canta (e stona) il Vangelo, mentre i cori paiono
ben riusciti, anche se tradizionali nella sostanza. La ragazza che mi trovo ad
accompagnare come padrino conversa per tutta la cerimonia con le sue coetanee,
cogliendo tuttavia qualcosa di quel che accade, anche qualche parola del
vescovo, più come un ipertesto sul quale ci si imbatte che come una sequenza
logica di eventi e parole. Mi tornano in mente studi ormai lontani che
investigavano il significato del rito e la differenza dalle mascherate, o le
arlecchinate, come potrebbero apparire tali manifestazioni pubbliche. La
differenza non sta ovviamente nelle forme, ma nella sostanza simbolica dell’evento,
della memoria di avvenimenti reali che la storia ha sostanziato. E nella
partecipazione della comunità che, debbo proprio dirlo, è intensa e convinta.
Anche la valanga di parole pronunciate dal vescovo potrebbero essere verbiage, contributo alla Babele universale,
se non ci fosse in ballo il continuo riferimento biblico. Che allontana il pericolo
dell’ideologia.
I preti vestiti di rosso scarlatto salgono in fila per uno
i ripidi gradini dello stadio. I più anziani vengono sorretti da baldi
giovanotti e da gentili amazzoni vestiti con la maglietta “Messie”. La metafora
degli “atleti di Cristo” continua. L’efficacia del sacramento non sta in un
miracolistico unguento, ma nel cuore sincero di chi dà e di chi riceve.
Reciprocità evangelica.
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