A Singapore un luogo dove il senso della vita si coniuga con l'amore per la natura. Stupefacente.
Non mi
aspettavo proprio un luogo come questo, in una città ipertecnologizzata e
dedita apparentemente solo alla finanza più spinta, quella che pare far
economia di ogni rapporto umano che non sia strumentalizzante e strumentalizzato,
e quindi a maggior ragione dei rapporti degli umani con gli animali e i
vegetali. A Singapore è invece stato creato a tempo di record un luogo che è
erroneo e ingiusto qualificare di “giardino botanico”, benché nessuno dubita
che lo sia; ma è talmente “altro” che si fa fatica a trovare una definizione
adeguata ai “Gardens by the Bay”, i Giardini sulla baia.
La baia è
quella South, quella meridionale, nel centro di Singapore, quasi un luogo di elezione
per l’orgoglio di questo mini-Stato e maxi-città. Da luogo di commerci portuali
ben poco estetici e ancor meno puliti, la baia è diventata un luogo di
godimento della vita e condivisione, di relax e bellezza. Poco alla volta, con
la costanza e la testardaggine che contraddistingue i governanti del Paese più
ricco dell’Asia (pro-capite e dopo Brunei, il sultanato sempre in testa a tutte
le classifiche) hanno voluto riconvertire il luogo con interventi architettonici
sapienti e nel contempo arditi, che hanno radicalmente trasformato la baia,
suscitando non poche rimostranze ma anche molte più espressioni di plauso. I
Teatri sulla baia, quasi degli enormi occhi d’ape, il tri-hotel del Marina Bay Sands,
sovrastato da un’enorme barca di cemento con tanto di minigolf e di piscine, il
complesso delle torri della principale banca di Singapore, la Dbs, e il Centro della scienza,
a forma di mano bionica. E ora i Giardini sulla baia.
Li avevo visti
da lontano, la sera precedente, e mi erano parsi così originali da meritare una
visita nel mio breve soggiorno: due hall quasi delle gobbe di zebra – una più
alta, una più estesa – e una serie di strani funghi colorati. Di che suscitare
se non altro una sana curiosità, sempre legittima per un viaggiatore. Chissà
chi poteva aver mai inventato quelle forme così originali, chissà cosa
racchiudevano, chissà quali finalità avevano guidato i politici che li avevano
voluti. La prima idea che m’era venuta in mente girava attorno all’orgoglio.
Non un orgoglio escludente, ma quel sentimento di fierezza per la propria
creatività ed efficienza che desidera mettersi a disposizione, creare legami,
stabilire il punto fermo della bellezza, insegnare la tolleranza.
La visita ai Gardens
by the Bay è realmente un’oasi di frescura nell’impossibile temperatura di
Singapore (impossibile per noi del Nord): si penetra in un mondo ancora più
umido di quello che c’è all’esterno della calotta striata, ma con almeno dieci
gradi di meno. Non poco per queste parti. Tanto più che nel Cloud Forest (Nuvola
della foresta) si viene accolti dal frastuono musicale di una cascata alta la
bellezza di quaranta metri, la cui nebulizzazione ti avvolge come una
benedizione inattesa, e quindi gioiosa. Alzi gli occhi verso la volta di vetro
e scorgi visitatori anche lassù, e capisci che anche tu lì salirai. E ne
gioisci. L’alchimia giusta viene dal fatto che il percorso è congiuntamente
educativo, estetico e spirituale, in un crescendo a spirale che inizia il cammino
in sospensione da percorrere, dolcemente, quasi senza rendersi conto che si sale.
Lo straordinario è che la perfetta organizzazione paesaggistica e botanica
eleva, porta a riflettere sul senso della vita e sulla natura, oltre che
sull’intervento dell’uomo, che gioca su un tessuto creato che ha bisogno del
nostro contributo che completa il disegno del creato. Non so proprio se i
progettisti avessero l’intenzione di suscitare tali sentimenti, ma l’effetto è
tale.
Ma non è
finita. Accanto all’elevato Cloud Forest, c’è il più calmo Flower Dome, la Cupola dei fiori, che raccoglie
esemplari di piante e fiori da ogni parte del mondo, con aree dedicate alle
singole zone climatiche: Mediterraneo, Sahara, Ande… Il tutto in un clima meno
umido dell’altra hall, ma altrettanto fresco, più pacifico e rilassante,
esteticamente più distensivo, meno chiari/scuri e più colori pastello. Stupende
alcune prospettive studiate a fondo dagli architetti e dai paesaggisti, integrando
baobab e cactus, aiuole fioritissime e palmizi, ulivi e abeti, in una
commistione affascinante. C’è intelligenza e bellezza in questa Flower Dome.
Al termine
della visita alle due hall, cercando di ritrovare la metropolitana passo sotto
gli enormi funghi colorati che occupano buono spazio della zona dedicata al
Gardens by the Bay: sono ancora parzialmente ricoperti di vegetazione, lo
saranno nel giro di un paio d’anni, con delle tecniche di costruzione e di
sistemazione delle piante assolutamente straordinarie. Una passerella aerea
collega alcuni di questi funghi, con una vista stupenda sulle hall e su buona
parte di Singapore.
Capito infine in
un centro commerciale, in un mall, che
vuole imitare Venezia, con tanto di canali, ponti e gondole. Kitsch, anche se di lusso. E mi dico che
il grande disegno di Singapore è più efficace quando non si instupidisce nel
neo-liberismo, ma quando s’arricchisce nel cercare di valorizzare quel che
esiste, cioè la realtà e non la fiction.
Nessun commento:
Posta un commento