Viaggio in America Latina/7 - Uno dei luoghi al mondo in cui la natura coniuga in modo più sublime la bellezza e la forza.
È una di quelle esperienze che restano nella memoria. Ci si
immerge nel numinoso, negli ancestrali o primordiali elementi e ci si ritrova a
ragionar delle cose ultime. È quanto accade, anche in contesti turistici,
allorché si riesce a far astrazione dalla presenza degli umani per immergersi,
è il caso di dirlo, in uno di quei crogiuoli antropologici nei quali l’alto
diventa basso, la destra passa a sinistra e l’abisso muta in vetta.
Iguazú – per gli argentini, mentre per i brasiliani che ne
condividono la “proprietà” è Iguaçu – è nome che evoca antichità etniche,
epoche geologiche quasi impensabili dell’animo degli umani, che preferiscono
rimanere nel tepore rassicurante del proprio presente, avendo timore della
dilatazione del tempo che avviene in luoghi come questo. Mi trovo a visitarle
nel corso di un lungo periplo che mi porta da Montevideo a Curitiba, quindi non
catapultato dall’aeroporto alle cascate all’hotel al ristorante al banchetto
dei souvenir e poi di nuovo all’aeroporto, ma preparato da un lungo adattamento
grazie ai poderosi e lunghissimi corsi d’acqua, con la cultura guaraní che qui
era dominante, con le popolazioni che abitano queste terre divise in tre Paesi
diversi. E allora capisco come queste cascate, assieme ad altri elementi
naturali, abbiano potuto influenzare il pensare e l’agire degli umani indigeni.
L’impatto delle catarata
dal lato argentino è a dir poco coinvolgente e per certi versi incute anche
paura. Le passerelle metalliche (geniali!) che permettono di avvicinarsi ai
salti, dapprima dalle sommità, poi alla base delle cascate, sono delle
scorciatoie verso le profondità del mistero della natura, dei camminamenti che
permettono all’umano di percorrere i sentieri del possibile e dell’impossibile,
del limite da avvicinare ma non da superare: se appena un istante prima del
salto nel vuoto paiono possibili e anzi invitanti la natazione e la
navigazione, l’istante del superamento del limite toglie ogni illusione: la
negligenza sarebbe fatale. E così non si può non riflettere sull’energia che la
creazione riesce ad esprimere e a contenere, uno straordinario motore della
vita sotto le sue molteplici, infinite forme. Energia che l’uomo vuole e deve
ingabbiare per vocazione biblica – vedi la vicina diga di Itaipú –, ma
rispettando i limiti oltre il quale l’abisso si apre.
Ci si bagna non poco nella visita alle cascate: quando le si
osserva dall’alto, come all’impressionante Garganta del diablo, la gola del
diavolo, per le enormi nubi di vapore che l’improvviso spostamento di masse
d’acqua provocano; e quando le si osserva dal basso, per gli schizzi che
vengono da ogni dove, senza rispettare le macchine fotografiche allergiche
all’umidità, né tantomeno gli umani che le brandiscono come totem atti a
fermare il tempo e ingabbiare lo spazio. L’acqua inzuppa gli abiti e bagna i
volti e le mani facendo credere di aver ottenuto il passaporto per entrare in
comunione con la natura, mentre il cammino è ancora molto lungo per
riconciliare creature e creazione.
Non mi stanco di osservare e fotografare la frattura della
crosta terrestre che genera le cascate più ampie e spettacolari del mondo. La
scena, in effetti, permane sempre uguale, ma nel contempo muta istante dopo
istante, se ne va e non si riproduce più esattamente nello stesso modo,
interrogando l’attento visitatore sulle reali grandezze delle forze naturali
che si generano e si rigenerano ogni istante per la silenziosa energia
racchiusa nell’universo. Ed è così che le Cataratas de Iguazú portano dalla
forza della Natura a quella dello Spirito, in un va e vieni, in una reciprocità
che nutre l’anima e bagna il volto.
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