martedì 1 ottobre 2013

San Ignacio Guazú, sulla "ruta jesuitica"



Viaggio in America Latina/6 - Paraguay, le "reduccione", modello di società giusta e aperta

L’influenza gesuitica nella zona guaraní è stata sufficientemente pubblicizzata dal film Mission per poter evitare di raccontarne i tratti fondamentali di evangelizzazione e inculturazione, un esempio luminoso bruscamente interrotto per l’espulsione dei gesuiti dalle colonie spagnole, decretata nel 1767 dal re Carlo III. Nella provincia paraguayana chiamata guarda caso Misiones, tre sono i siti principali che hanno ospitato delle reduccióne: San Ignazio Guazú, Santa Rosa da Lima e Santiago Apóstol. Vale la pena di visitarli, anche se non sono i più appariscenti dei sette della serie paraguayana.
San Ignacio ha conservato il “vuoto” della piazza, attorno alla quale sono ancora in piedi non poche abitazioni destinate agli indigeni, che s’allungano su tre o sui  quattro lati della piazza, dipendeva se la chiesa era posta su uno dei lati corti dello slargo o se ne occupava il centro. Qui s’ergeva la grande chiesa dedicata a sant’Ignazio della prima missione aperta in territorio guaraní: era il 1609, e i gesuiti giunsero qui direttamente dal porto di Buenos Aires. È collassata negli anni Trenta e nessuno all’epoca ha pensato di ritirarla su. Solo negli anni Cinquanta è stato edificato un edificio di culto, che ha però qualcosa di inadeguato e invasivo. Meglio passare, allora, al museo diocesano, dove sono state raccolte non poche statue che erano state salvate dalle macerie della chiesa di San Ignacio: una meraviglia d’arte e semplicità, di teologia ed evangelizzazione. Mi diverto a fotografare i ricchi dettagli delle statue lignee e delle decorazioni. E mi par d’entrare in comunione con quei missionari e quei guaraní che avevano trovato un’intesa duratura. Molti, la maggioranza di quel pueblo, ma non tutti, bisogna ricordarlo. Un chilometro percorso su una bella strada sterrata rosso acceso, a saliscendi, mi porta a Tañarandy dove si erano concentrati gli irreductible, coloro cioè che avevano rifiutato di credere alla divinità dei cristiani, preferendo tenersi i loro dèi, senza dover soggiacere alle leggi della “repubblica dei gesuiti”. Ogni venerdì santo, per ricordare quell’affronto alla religione dei conquistadore, ha luogo proprio su questa strada un’affollatissima processione che attraversa il borgo lindo, i cui abitanti hanno preso l’abitudine di tinteggiare a colori vivaci le loro case.
A Santa Rosa da Lima c’è ben poco degno di nota: una riproduzione della casetta di Loreto – perché mai spendere allora 10 mila guaraní per visitarla? – e la torre campanaria in pietra rossa che risale al 1698, sulla cui scaletta di legno m’avventuro per ammirare la piazza della reduccione dall’alto. A mio rischio e pericolo: l’ultima rampa, instabile, pare dover cedere da un momento all’altro, ma fortunatamente regge al mio non lieve peso, nonostante i sinistri scricchiolii. Avrei fatto un salto d’una dozzina di metri…
A Santiago Apóstol – reduccióne del 1669 – arriviamo quando già il sole cerca il riposo della sera. Le luci e le ombre si allungano, conferendo all’abitato la sua dose di magia. Nell’attesa della custode, percorro l’intero perimetro della grande piazza, che di lato fa più o meno 300 metri, ammirando le numerose case degli indigeni ancora in piedi, ripristinate per opere pubbliche o private. Anche qui la chiesa è stata distrutta, ma da un incendio, nel 1907. Accanto al piccolo museo della ruta jesuitica – che accoglie anche in questo caso una ricca serie di sculture lignee e di pietra, santi e cristi e madonne –, alcuni brandelli di muri testimoniano la presenza sul luogo della chiesa originaria, ormai ridotti a moncherini di terra che paiono termitai. Due o tre vacche pascolano nei prati dove c’era la missione, di cui rimane solo un perimetro di pietra, rasoterra: c’è una grande naturalezza in ogni cosa. La chiesa attuale, anche in questo caso insignificante dal punto di vista artistico ed architettonico, ha il pregio di dare ospitalità a una pala d’altare perfettamente conservata e a una statua di San Giacomo, Santiago appunto, che combatte e schiaccia il saraceno. Plastica, realista, venerata da tutto il pueblo. Con l’amore dei guaraní.

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