Mentre già si parla meno di Nepal e delle vittime del terremoto, continuo a ripubblicare i reportage del mio viaggio in quel Paese di un anno fa. Questa volta ecco un tempio (parzialmente danneggiato dal recente sisma) cui si accede attraverso una ripidissima ascesa percorsa da scimmiette golose
Raramente mi è capitato di vivere un’esperienza di acsesa al
sacro come quella che oggi mi trovo a sperimentare. Il tempio di Swayambunath,
nei sobborghi di Kathmandu, è noto per le scimmie che, numerosissime, trovano il
modo di infilarsi ovunque, talvolta in modo assai violento, negli affari
altrui, specie se scorgono del cibo nelle mani dei visitatori. Ma questo luogo
resterà nella mia memoria per la straordinaria scalinata orientale che sale
allo stupa più noto dell’intero
Nepal. Una scalinata che, via via che si sale, si verticalizza, al punto da
doversi reggere al corrimano metallico che benevolmente i monaci hanno montato
in soccorso degli ascendenti. La storia del luogo è nota: il “tempio delle
scimmie” domina la città. La leggenda narra che un grande lago occupava la
valle, da cui emerse la collina sulla quale oggi si erge maestoso lo stupa. Il posto sembra fosse luogo di
culto sin dal IV secolo prima di Cristo, e in ogni caso l’imperatore Ashoka lo
visitò 2 mila anni fa. Come è pure nota la qualità artistica degli edifici che
si dispongono attorno allo stupa, in un affastellamento di epoche e stile assai
sconvolgente.
L’ascesa, lo confesso, m’è assai faticosa. Sono appena arrivato
dall’Europa, il fuso orario non facilita le cose, siamo in altitudine e poi
l’incredibile diversità della città mi ha sconvolto, seppur discretamente.
Tocca segmentare l’ascesa, 20, 10, 5 gradini in serie sempre più corte, e
infine l’ampia piattaforma del tempio viene raggiunta come una benedizione,
come una liberazione. Ma non come una meta, solo come una tappa: si entra
infatti nel gioco dell’umana, impossibile felicità che nei fatti diventa
“cammino-camminato”. L’ascendere diventa in qualche modo una meta. Ad ogni
gradino si ringrazia, si riprende fiato e si riparte. Verso il gradino
seguente.
Sulla piattaforma di Swayambunath, una vera e propria terrazza
sull’abitato arruffato e a tratti inquietante di Kathmandu, la gente alterna
preghiere e operazioni ludiche, manducato rie e commerciali. Mi diverto ad
osservare tre monaci tibetani che posano per la foto di rito con una bellezza
giapponese in short da brivido, così come una frotta di ragazzini che scalano
una statua del Buddha, mentre un branco di turisti statunitensi s’informa su come
comprare alcune statue…. C’è varia umanità, a Swayambunath, c’è il dolore e c’è
la riconoscenza; credo che l’ascesa sia quel che livella ogni uomo e ogni
donna, di tutte le età.
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