Diario da Piazza Maidan/5 - Le voci dalla Crimea e da Mosca si succedono, ma l'immensa folla che sfila nel luogo della rivoluzione mostrano la dignità di un popolo realmente europeo.
Domenica di “turismo politico” nella piazza Maidan. Centinaia
di migliaia di ucraini, provenienti da tutto il Paese, sono sfilati dinanzi ai
tanti, piccoli mausolei ai martiri che sono stati eretti dalla pietà popolare. Le
notizie provenienti dalla Crimea e dalle cancellerie mondiali che s’inseguono l’una
dopo l’altra senza avere un chiaro segnale da offrire alla popolazione ucraina,
non sembrano sconvolgere più di tanto il flusso delle famiglie di Kiev e delle
altre città del Paese.
Un collega ucraino, ora in Crimea, al telefono mi conferma la sensazione
generale: «Certamente la presenza militare russa si è intensificata
quantitativamente e qualitativamente – mi spiega Lubomir –, coi militari russi
piazzati attorno ai palazzi del potere e alle caserme ucraine, mentre la flotta
russa dispiega appieno le sue forze. Lo speaker "autoproclamatosi" del Parlamento della Crimea non
riconosce il potere di Kiev, paragonato ai nazisti, e invoca la tenuta di un referendum
per il 30 marzo, data della possibile secessione della regione dall’Ucraina. La
maggioranza della popolazione in Crimea è certamente filo-russa e ieri c’è stata
una grossa dimostrazione di questa parte della popolazione. Mentre i tatari, il
20 per cento in Crimea, non sono usciti di casa, non hanno fatto manifestazioni
di sorta, ma sicuramente non sono d’accordo con Putin». Attacco dei russi? «In
realtà i russi ci sono già in Crimea – mi ha risposto –. Eventualmente
dovrebbero attaccare le città dell’Est dell’Ucraina, e forse lo stanno già
facendo con le loro forze speciali. Ma nulla è sicuro, come invece è sicuro che
la maggior parte della popolazione dell’Est non vuole certo una guerra civile».
A piazza Maidan, intanto, si attende, determinati a restare sul
posto fino alle elezioni presidenziali del 25 maggio. Il “Gruppo di autodifesa”
che vuole proteggere la piazza Maidan, guidato ora dal deputato filo-Tymoshenko
Andrij Parubij, guarda con attenzione all’incontro di domani (ancora incerto,
peraltro, e diffuso più in ambienti occidentali che ucraini) della loro leader
con il presidente Putin. Non pochi osservatori credono che quel momento sarà
decisivo per il futuro della Crimea e della stessa Ucraina. La “pasionaria”,
che pure aveva stretto da premier degli accordi discutibili con il presidente
russo, potrebbe trarre beneficio dall’incontro (domani o più avanti nel tempo),
ripresentandosi come la salvatrice della patria, mentre il presidente Putin
potrebbe trovare una qualche scusa, una qualche scappatoia compensatrice per
non scatenare una guerra difficilissima da gestire a livello diplomatico
mondiale, come manifestano le reazioni delle cancellerie occidentali.
E intanto la gente d’Ucraina, fiera della propria indipendenza
e della propria dignità, continua a sfilare a piazza Maidan, credendo ancora che la loro patria ha la forza di autodeterminarsi, di mantenere
una dignità che è umana e cristiana nel contempo. Gente che crede ancora all’Europa,
paradossalmente quando nell’Unione europea si diventa sempre più euroscettici. Questo
è forse il più grande paradosso che noi europei dobbiamo tenere in cuore. C’è
gente che dà la propria vita per l’Europa.
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