Diario da Piazza Maidan/6 - Il ritorno a Roma non fa che accentuare i sentimenti di storicità di quanto sta avvenendo in Ucraina. Pensieri sparsi.
Esausto al termine di tre giorni scarsi, ma di grandi emozioni,
analisi ripetute, interviste continue, traduzioni faticose. Ne è valsa
certamente la pena, mi sembra, perché in queste terre si sta giocando un pezzo
del futuro dell’Europa. E forse dell’intero pianeta. C’è da sperare che l’irreparabile
non accada. A meno che non ci sia già un accordo scritto tra la dama di ferro e
lo zar, due personaggi da romanzi di Dostoevski. (Ucraina, Kiev, Quartiere ebraico, 2 marzo 2014)
Tutti i miei vestiti puzzano di… piazza Maidan! Un odore di
fuoco da legna, ma anche di marciume, di olezzo di umani che si lavano poco, di
plastica arsa e decomposta, di fiori in fermentazione, di lumini consumati, di
cibo cotto nelle cucine da campo. L’odore della morte pure c’è, appena un po’. (Ucraina, Kiev, Quartiere ebraico, 2 marzo
2014)
Quanti giornalisti, quanti fotografi, quanti cameraman in
piazza Maidan! E pensare che più della metà, si stima, è partito all’avventura in
Crimea. IL mondo mediatizzato ha bisogno della violenza della notizia, dell’immediatezza
assoluta con l’evento, dello spettacolo a tutti i costi, anche quello del
sangue, soprattutto quello. Ma chi cerca di capire sul serio dei miei colleghi?
Chi ha il tempo, i soldi, la testa e le conoscenze adeguate per scavare le
motivazioni vere dei cambiamenti storici cui stiamo assistendo? Pochi,
pochissimi tra i miei colleghi sempre di corsa. Riconosco di aver avuto, in
questi tre giorni, una serie impressionante di aiuti e di buoni contatti che mi
hanno, poco alla volta, svelato alcuni dei misteri di piazza Maidan. Senza poter
tuttavia celare l’eroicità dei giovani ucraini. (Ucraina, Kiev, Quartiere ebraico, 2 marzo 2014)
Comincia a nevicare, fa freddo, tutto è grigio. Oppressivo. LA
gente vive come sempre, le notizie della radio sono interlocutorie, anche se la
follia di Mosca pare avviata. Il Dniepr scorre come sempre, le auto inseguono
le lancette del tachimetro, come sempre, la moneta locale corre ancor più
velocemente nell’inflazione. Ma nulla è come prima qui a Kiev. Il sogno di una
nuova dignità non è ancora tramontato. (Kiev,
lungo il Dniepr, 3 marzo 2014)
Palazzoni di periferia a Kiev. Enormi dormitori
vetero-comunisti appena vivacizzati da qualche insegna luminosa
neo-capitalista. Il contrasto è stridente, non lascia spazio a pensieri che non
siano paradossali, o piuttosto contradditori. La transizione è lunga, non
bastano pochi tocchi di colore. Cambiare i cuori e le menti, questo è il
grande, immenso problema di questi Paesi ex-sovietici. (Kiev, lungo il Dniepr, 3 marzo 2014)
E se l’Ucraina dichiarasse il default? Che rivoluzione ne nascerebbe? Quali conseguenze per
milioni di persone che già ora faticano a sbarcare il lunario? C’è da sperare
che la comunità internazionale, e in primo luogo l’Unione europea, siano
generose. Non si possono abbandonare questi giovani e queste madri che hanno dato
la vita per l’Europa! (Kiev, verso
Borispol, 3 marzo 2014)
«Se la Russia
alza il prezzo del gas e costringe il governo ucraino ad elimninare il prezzo
politico del riscaldamento, il Paese scoppierà», mi ha detto un diplomatico. Nelle
case in cui ho abitato la temperatura era decisamente superiore a quella
normale della nostra abitazione italiana tipo. La Russia prenderebbe l’Ucraina
non per la gola ma per il gelo. (Kiev, verso
Borispol, 3 marzo 2014)
Fenomenologia delle code. Ovvero del complicato passaggio da
una mentalità da socialismo reale ad una semplicemente civile. All’aeroporto di
Borispol, peraltro modernissimo, al momento di passare i controlli di sicurezza
e del passaporto ci si scontra con una concezione del dovere civile
assolutamente alla sovietica. Primo: gli sportelli aperti sono assolutamente
insufficienti e le guardie di frontiera sono occupati da tutto, anche dai
dettagli insignificanti di un passaporto, tranne che dall’imperativo di
snellire le attese. Secondo: i viaggiatori formano una coda assolutamente
irrazionale, a zigzag, ondeggiante, scomposta. Terzo: una gran quantità di
viaggiatori cerca di far la furba e di bruciare qualche meandro del fiume umano
come se niente fosse. Quarto: sono soprattutto i bellimbusti e le bellocce issate
su tacchi impossibili che cercano di far i furbi incollati ai loro smartphone con perline Swarovski. Quinto:
quando si apre uno sportello supplementare sembra che un branco di iene si
avventi sulla povera preda. Sesto: la gente più umile e modesta (è tanta e
bella e da abbracciare) fa la coda regolarmente, ma tace, solo un giovane (che
viene da Maidan) protesta e biasima chi cerca di fregare il prossimo. (Kiev, aeroporto di Borispol, 3 marzo 2014)
E così volge al termine questo rapido soggiorno a Kiev, cominciato
per capire meglio che cosa abbia generato la “rivoluzione della dignità”, che
alla fine ha fatto più di cento morti e un migliaio di feriti, concentrati nel
luogo-simbolo della rivolta, quella piazza Maidan, piazza Indipendenza, che
sostanzialmente è l’agorà della politica ucraina: qui il partito teneva le sue
adunate oceaniche e sempre qui era maturata la “rivoluzione arancione” di
Yushenko, poi arenatasi in una grande disillusione. Andare sul posto non è solo
curiosità ma è anche il modo principe per penetrare il cambiamento. Ascoltare
un politologo in un bar di piazza Maidan non è la stessa cosa che leggere un
suo articolo su un quotidiano. Ripartire col cappotto impregnato dell’odore di
piazza Maidan per i soggiorni nelle tende e nei viali tra i fuochi per
scaldarsi non è la stessa cosa che vedere immagini della piazza in un
maxischermo in casa propria. IL giornalismo ha sempre e ancora bisogno della
conoscenza diretta, ed è questa la sua bellezza e la sua grandezza. Bisogna
toccare, incontrare, rispettare, ascoltare, interrogare, stupirsi, convincersi,
mettersi in dubbio, amare. Sì, l’amore autentico è la principale fonte di
conoscenza. Posso dire che in questa breve tournée
in qualche modo sono riuscito ad avvicinarmi con libertà e rispetto ai ragazzi
di Maidan, a vescovi ed ambasciatori, a semplici cittadini e a tanti colleghi,
mantenendo il rispetto persino dei filo-russi. Ciò mi è stato possibile perché
tanti, tantissimi ucraini mi hanno rispettato, ascoltato, sopportato, amato. Una
buona lezione di giornalismo sarebbe stata per i miei allievi! (Partendo dall’Ucraina, Kiev, Borispol, 3
marzo 2014)
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