Cos’ha d’interessante la Transnistria? È un Paese povero, in
alcune remote regioni addirittura poverissimo, quasi misero, afflitto ancora da
mancanza d’elettricità costante, con un’agricoltura rudimentale, fabbriche
ormai chiuse, come quelle che scorgo nel centro della “capitale”, popolazione
giovane alla sola ricerca di espatrio, un’economia che quindi si regge
solamente sulle rimesse degli immigrati… È un Paese nato dopo una guerra
cruenta, guerra che fece alcune centinaia di morti nel 1991, nel periodo del
crollo dell’Unione Sovietica e della corsa all’indipendenza selvaggia. Un Paese
che ha fatto della sua fedeltà al comunismo e alle relazioni con la Russia il
proprio dover essere e soprattutto il proprio poter esistere. Non a caso nella
via principale di Tiraspol, di fronte al monumento che ricorda la vittoria sui
moldavi – un carro armato, manco a dirlo –, si ammira una gigantografia
dell’ultimo incontro tra il presidente russo Medvedev e “quello locale”, di
nome Smirnoff, come la vodka. Tutto è perciò rimasto come ai tempi del
comunismo, l’architettura e i monumenti, la retorica degli striscioni e delle
foto così come la povertà poco dignitosa delle periferie delle città.
Una pubblicistica assai sviluppata nelle riviste di
geopolitica, vuole che la Transnistria sia il concentrato di tutte le
perversioni politiche del continente. Così sarebbe il luogo privilegiato di
alloggio delle cosche mafiose russe congiunte con quelle di altri Paesi; così
sarebbe una plaque tournante, cioè
uno snodo particolarmente libero del traffico di armi e di segreti militari
provenienti dal disfacimento dell’impero sovietico, così sarebbe persino il
luogo delle perversioni massime della prostituzione dell’Est europeo, così le
auto in circolazione nella regione sarebbero al 70 per cento di provenienza
illecita. Capirete bene come, avendo nella memoria questa pubblicistica, mi
attendessi di vedere poco meno che uno Stato anarchico, in preda alle peggiori
delinquenze e alle più sfrenate depravazioni. E invece no.
È vero, una giornata passata in Transnistria non può avermi
dato una visione esauriente della situazione; ma quel che ho visto coi miei
occhi e soprattutto i contatti avuti con persone che vi vivono, e che pure
godono di osservatori privilegiati per la conoscenza della regione, mi fanno
dire che sì, lo “Stato” della Transnistria è veterosovietico, marchiato da un
chiaro trasporto nostalgico verso la “madre di tutte le rivoluzioni”; è vero
che la miseria di vede oltre i paraventi ben dipinti del centro della città. Ma
è anche vero che tutte queste colpe gettate sulle spalle di questo povero Paese
sembrano veramente eccessive. Anzi, la gente pare accogliente, aperta allo
straniero, povera ma degna; parla poco di politica, una cosa delicata come lo
era nei Paesi ex-comunisti, ma parla di tante altre cose. E le auto non sono
tutte rubate, e l’estetica del mobilio urbano non è popolata di donne senza
veli, e le mafie se pur esistono – perché in terre di passaggio come la
Transnistria esistono per forza, in tutto il mondo – non hanno certo una grande
visibilità, e nemmeno una forte influenza sulla gente comune. Insomma, la
Transnistria pare uno “staterello” che coagula interessi convergenti negativi
(no alla Moldova, no alla Romania e no all’Ucraina) più che positivi (sì alla
continuazione della sovieticità, sì allo sviluppo della malavita).
Nei fatti, la Transnistria opera come uno “Stato”, coi suoi
ministeri e le sue amministrazioni, ma patisce l’isolamento: il treno
Chisinau-Kiev non funziona più, e la via ferrata è stata saccheggiata, diventando
inutilizzabile; le strade sono malmesse, e non consentono più collegamenti
adeguati; il commercio, almeno quello ufficiale, è diminuito, perché deve fare
impossibili percorsi per giungere a destinazione; i telefoni analogici per lungo
tempo sono stati interrotti, ed ora quelli cellulari funzionano grazie alle compagnie
ucraine o moldave; l’edilizia s’è fermata, salvo nella costruzione di villette
finanziate dalle rimesse degli immigrati; di fabbriche non si vede nemmeno
l’ombra, o meglio si vedono le ombre delle officine dismesse… Ma la gente
sorride, riesce ancora a farlo, e pure con una certa fierezza. L’identità della
Transnistria? «Avere due passaporti – mi risponde un uomo d’affari –, ed essere
molto pratici nello sbrigare le proprie faccende: se non si arriva al proprio
scopo in un modo, ce ne sarà un altro». Mentre un pope ortodosso, Vladimir, mi
conferma un’impressione provata dinanzi al palazzo del parlamento vedendo la
gente passare: «La gente vuole vivere, ma la politica glielo impedisce nei
fatti. Allora bisogna cercare di vivere senza la politica».
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