Bassa Val Badia/5 - Una valle profonda dodici chilometri e la roccia rossa
Da
tanto tempo ne avevo sentito parlare, ma mai m’era capitato di venirci. Perché
è uno di quei luoghi in cui ci si va solo per andarci, solo perché si ha la
ferma volontà di andarci. Pederü giace – sì, mi piace proprio usare questo verbo di stasi – in fondo ad
una valle che non è altro che la continuazione del Mareo, del Marebbe, ma che
si diverte a cambiare nome: Pici Tréi, poi Rudo e infine Tamersc. E da lì, da
Pederù, porta al Parco naturale Fanes-Senes-Braies, s’aprono almeno altre tre
valli, in una dinamica topografica che lascia sbalorditi. E che insegna come
luoghi che paiono delle impasse
rivelano avere vie d’uscita senza fine, inaspettate, certamente frutto della
più creativa delle menti.
A Pederü ci si arriva da San Vigilio di
Marebbe – per i ladini Al Plan de Mareo –, percorrendo una lunga fettuccia
d’asfalto lunga ben dodici chilometri: un festival
di pareti a picco, d’un fondovalle verde come pochi, di brevi boschi che paiono
ciuffi di esuberanza adolescenziale. Si fa in tempo ad abituarsi all’habitat
della valle – pardon, delle tre valli in fila –, al punto che l’improvvisa
apertura del Plan de Pederü pare un’intrusione non concordata. Ma la bellezza
della tri-valle non la si può apprezzare che oltre Pederü, dal Valun de Fanes che sale sopra
il rifugio che occupa il breve piano. Perché dall’alto s’apprezzano le pareti a
picco di dolomia, che mutano non solo per l’angolo di visuale, ma anche per i
capricci meteorologici: rosse, grigie, nere, rosa, viola, salmone e turchese!
Pareti interrotte da ghiaioni candidi e così verticali da mettere in dubbio la
legge di gravità. E spesso le pareti si fregiano di creste da moicani, teorie
di abeti che da lontano paiono nere come la pece, o la notte piuttosto. E poi
la sorpresa, in coppa a tutto, un fraticello d’un verde così tenero che pare
attendere solo la fata della valle come un morbido giaciglio. Lo stesso colore
del prato attorno al rifugio, quasi che un cataclisma ne avesse interrotto la
continuità, facendo emergere le paurose pareti di dolomia.
Ci sarebbero da scrivere pagine e
pagine sul “valun”: l’iniziale aspra colata di pietra bianca, dai riflessi
verdini, di tutte le dimensioni immaginabili, l’esplodere del rosso della
dolomia sulle pareti grigie e lisce che attorniano la valle, l’apparire inatteso
di creste pettinate di pini, lo specchio turchese del Lé Piciodel, le strane
geometrie sui Banch Dal Sé, argentei ghirigori simil-maya o simil-aztechi,
umani-più-che-umani. Pederü chiude e apre. Come uno scrigno di gioie… e dolori.
Nessun commento:
Posta un commento