martedì 10 luglio 2012

Prè Rié, tutto scivola giù

Bassa Val Badia/2 - Ovvero, dove le terrazze sono aperture sull'infinito.

Nell’Alta Val Badia i paeselli che contrappuntano la verde e liscia superficie dei prati paiono aggrappati a rocce che non esistono, inerpicati su pendii dove s’immaginano solo capre al pascolo, al punto che paiono voler sfidare la legge di gravità. Le profonde vallate che si dipartono dalla valle-madre paiono volerla imitare, o perlomeno accompagnare mimeticamente.
Appena oltre l’origine della valle di Marebbe, Rina s’arrampica sul costone erboso e boscoso con una caparbia che stupisce non poco. Da Longega, l’incrocio tra le valli, alzando lo sguardo si nota solo la punta di un campanile che pare voler sfidare ogni equilibrio: è piccolo, lo si nota, ma pare immensamente alto. Quattrocento metri più in alto.
La gente di Rina è fatta come questo campani letto. Sta, mantiene l’equilibrio, guarda su e guarda giù senza tema, rastrella su pendii che paiono quasi verticali, porta al pascolo mucche che non soffrono certo di vertigini, sfrutta ogni minimo scalino presente naturalmente sui prati e nei boschi per organizzare la vita sociale. La gente di Rina è riuscita a trovare il modo di realizzare persino un campetto di calcio!
Ed è proprio dal campetto di calcio che parte la strada bianca che conduce alla malga di Rina, attraversando boschi che invitano a raccogliere funghi e ad appostarsi per cogliere l’attimo fuggente del volo d’un gallo cedrone, l’animale più mitico della zona. Sotto la malga, a un paio di centinaio di metri di dislivello, gli amici Resi e Giovanni – ladini al 100 per cento, lui indigeno, lei di Pedraces, venti chilometri più a nord nella Val Badia – ci invitano nella loro di malga, una baita, un fienile piuttosto. È recente, è stato costruito tre anni fa da Giovanni con la collaborazione dei carpentieri della valle. Una piccola costruzione lignea – 5 metri per 8 – dove stipare il fieno per le bestie e dove trascorrere qualche domenica tranquilla senza lavoro. Il maso è ospitato in un pianoro poco più grande della costruzione stessa, mentre la pendenza del prato è vertiginosa. Una terrazza, da cui si possono osservare le montagne della Val Badia, ma con lo sguardo che scivola felice oltre il confine austriaco, e verso le Dolomiti ampezzane, si scorge la sagoma inconfondibile del Cristallo.
La grigliata è leggera e invitante, l’aria è tiepida, ma quando il sole arriva si brucia di raggi diretti, prima che siano addomesticati dallo smog. I sentimenti volano lontani, il ricordo emerge naturale, come se risalisse dal fondo valle per venirsi a stabilire proprio qui, in questa terrazza di terra sul declivio di terra. E il silenzio, signori, il silenzio. Il vero sovrano della valle, un silenzio che parla e che sussurra, che grida e che s’incapriccia, un silenzio che ha formato la gente del luogo, come Giovanni, che distilla le sue parole come se ogni espressione verbale dovesse passare per il filtro della verità, pena la vanità delle vanità. Il silenzio che, invece, ha educato Resi alla leggerezza delle parole, che danzano dalla sua bocca alle orecchie dell’ascoltatore come un minuetto dall’accento un po’ sincopato dei ladini, ma gradevole come una musica leggera.
A Prè Rié – l’etimologia, dalle reminiscenze francofone non estranee al ladino locale, parla di un prato solcato da lunghe canalette parallele e verticali, atte a far scolare l’acqua oltre il prato, verso il bosco, in modo da evitare che il terreno s’impaludisca – s’apprezza ogni aspetto della vita, facendo attenzione che non scivoli giù per la valle.

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