Bassa Val Badia/3 - Passando dalla Val Pusteria alla Val Badia, viaggiando su una strada aerea
Brunico è la morte della Val Badia e la vita della Val
Pusteria. Lo sanno tutti i ladini, lassù la loro civiltà si eclissa nella
potenza austro-ungarica, nell’universo germanofono che tanta attrattiva ha
avuto ed ha per i ladini, ma che appare sempre più come radicalmente diverso
dal loro modo di vivere.
Una transizione che va vissuta lungo un itinerario di una
ventina di chilometri, tra San Lorenzo e Pieve di Marebbe, un paesino issato
sopra San Vigilio, a dimostrazione che le vedette, le sentinelle hanno una loro
funzione. Una strada tutta in costa, che passa per il santuario di Maria Saalen,
una cappella in cui si venera una riproduzione della Madonna di Loreto. Poi la carreggiata
s’inoltra nel bosco, un bosco di larici e abeti alteri e possenti, ma con un
che di gentile nella luce che filtra attraverso i rami. Ci s’imbatte in taverne
e malghe, mulini e masi, mentre la valle che unisce Brunico a Longega – oggi
percorribile in pochi minuti grazie ai quattro nuovissimi tunnel che hanno
risolto l’annoso problema delle frane –, scorre in contro basso come un budello
oscuro e vagamente infernale. Di tanto in tanto appare una breve radura, una
fattoria, gente al lavoro nei campi.
Finché si sbuca nella luce dei prati, i vasti e scoscesi
prati di Marebbe, dove pare che il verde intenso dell’erba esista solo per
evidenziare quelle poche costruzioni che ne interrompono l’uniformità sempre
diversa. Il cielo è percorso da nuvole di mille forme e strutture, tanto che il
sole gioca a nascondino con i diversi verdi che dipingono il paesaggio,
divertendosi a scompaginarne la tavolozza armonica. La pioggia scende
d’improvviso, come un’onda e come un abbraccio, evidenziando ora un campanile
ora un grumo di masi di legno scuro, ora un boschetto ora un rigagnolo. Dalle
nuvole, ad un certo punto, spuntano solo tre campanili, una metafora della
fede, anche dei ladini che hanno saputo far crescere santi come Freinademetz,
missionario verbita in Cina, un grande dell’inculturazione.
Finche non appare un borgo più grande degli altri, dominato
da una geometria originale e poco consueta: una grande casa bianca con un
enorme tetto spiovente, molto spiovente, e una pieve, appunto, decorata nel consueto
stile barocco teutonico e sormontata da un campanile grazioso dalle tegole
rosse. E tutt’attorno un grumo di abitazioni, molte delle quali paiono avere
non pochi anni sulle spalle.
Pieve di Marebbe starebbe bene nella lista dei “borghi
d’Italia” da proteggere, perché sono questi abitati che non devono essere
abbandonati. Come fa il vecchio prevosto che celebra la messa seduto, perché
sofferente…
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