mercoledì 21 gennaio 2015

Kashan, o delle dimore più che vivibili

Viaggio in Iran/2



Una delle città più belle della Persia, 
per via della sua grande ricchezza distribuita per secoli 
nelle abitazioni dell'abitato. 
Per proteggersi 
dal caldo e dal freddo, 
nella bellezza



Le premesse non sono straordinarie: un quasi-deserto di color bruno punteggiato da rari e tisici arbusti color della polvere; una lontana catena di montagne altrettanto brulle a Ovest; un abitato più che precario poco alla volta prende il posto della distesa di pietrisco; strutture di ferro già arrugginite prima di essere completate; una cupola dorata – paccottiglia! – al di sopra di una moschea ancora inesistente; negozietti scarcagnati e polverosi; 



qualche maldestro tentativo di arredo urbano all’occidentale; qualche concessione al consumismo più bieco e kitsch; le solite (?!?) ricche ville dei pasdaran; fumi mefitici di camion antidiluviani; e tanto altro ancora, per dire che le premesse non sono certo delle migliori nell’entrare a Kashan, centro dell’Irann, cento chilometri a Sud della città santa di Qom e duecento a Nord-Est di Isfahan, antica capitale persiana e bellezza tra le bellezze architettoniche di queste lande. Eppure.
 

Eppure penetriamo nell’anonima città fino al suo centro, in una via che si chiama Alavi, sulla quale s’affacciano, o perlomeno s’appoggiano su muri di fango e paglia, delle dimore molto particolari: costruite nel XIX secolo con stucchi, torri del vento ardite e cortili fioriti e rinfrescati da fontane da ricchi mercanti che passavano dalla pista tra Isfahan e Teheran e che qui trovavano riposo per il clima favorevole e per la facilità delle comunicazioni. La città era già famosa per tappeti, ceramiche e manufatti metallici.
 

Entro in una di queste meraviglie, almeno così dicono tutte el guide consultate. Si chiama Khan-e Borujerdi. Un vestibolo ottagonale arricchito di panche marmoree lungo le pareti per far accomodare gli ospiti che volevano conferire con il padrone di casa; poi corridoi e lunghi scalini discendono perché tutte queste dimore, erano centinaia ma ora la maggior parte sono in rovina, erano costruite sotto il livello della strada per trattenere negli ambienti la frescura della terra. 

I corridoi creano straordinari giochi di luce quasi fossero l’accesso a un misterioso paradiso terrestre. Quindi la luce abbagliante, che proviene da un ampio cortile in centro al quale, immancabilmente, si fa sentire benefico la musica dell’acqua di una o più fontane; e quindi gli appartamenti estivi e quelli invernali, le torri del vento, atte a rendere comunque vivibili locali schiacciati dalla potenza dei raggi del sole implacabili e dalle temperature impossibili; non mancano le stanze da letto estive, interrate.


Ma, soprattutto e fortunatamente, sono le decorazioni a farla da padrone. Non quelle del popolo del materialismo dialettico, né quelle dell’impero che schiacciano in altro modo le coscienze, ma le decorazioni del popolo coltivato e ricco, degli artigiani provetti che abitavano Shiraz, Isfahan e anche Kashan, quelle ideate e poi seguite nelle loro realizzazioni dalle donne di casa in accordo coi loro uomini; qualche decorazione figurativa qua e là la si vede, a testimonianza di un Islam sciita alla persiana. 
Deambulo, salgo e scendo gradini che non hanno mai regolarità nelle alzate e nelle pedate, ma che immancabilmente portano a locali belli in sé e belli nell’apertura ad altri spazi, su e giù, sostando e ripartendo, grati che una civiltà come quella persiana abbia dato la luce a locali, a dimore, a una way of life assolutamente unica e irripetibile, certamente atta a ispirare tanti romanzi e tanti racconti di viaggio.