mercoledì 17 aprile 2013

Filérimos, i pavoni e i cavalieri


Viaggio nell'isola di Rodi/3 - Un monastero sulla montagna, una storia lunga e travagliata, il restauro realizzato dagli italiani

Filérimos e i pavoni. Per l’antichità classica gli animali che fanno la ruota sono simbolo dell’immortalità. Ebbene, è forse per questo motivo che attorno al monastero che domina Ialyssós e Ixiá si sono tanti pavoni! La storia qui ha sì dimostrato l’immortalità di Dio, ma anche la fondamentale finitezza dell’essere umano: qui sorgeva l’acropoli della città di Ialyssós, qui ebbe i suoi natali il fondatore di Rodi, Dorieo, qui in epoca bizantina fu fondato un monastero dal nome curioso – amico della solitudine –, dove veniva conservata una celebre icona della Vergine. Più tardi i Cavalieri di San Giovanni ne presero possesso, e lo stesso Solmano volle stabilirvi il suo quartier generale nel 1522, quando conquistò Rodi. Ancora qui tedeschi e italiani si combatterono, e poi gli italiani restaurarono il monastero…
Ed è con questo spirito che la visita a Filérimos da subito appare un tuffo nella lunga storia di quest’isola di Rodi che pare abitata da lunghi, lunghissimi misteri e giravolte della storia. Gli stessi edifici lo testimoniano. La torre-chiesa-campanile, veramente originale, non c’è che dire, pare quasi un luogo romantico: da uno dei suoi quattro balconi non mi sorprenderei di veder spuntare le trecce corvine di una giulietta locale, nel qual caso mi trasformerei immediatamente in un novello romeo. La cappella sottostante, che s’apre sui resti di un tempio di Atena del IV secolo a.C., conserva, nella sua penombra rischiarata dalle gialle e odorose candeline usate nelle chiese ortodosse, un intatto mistero cavalleresco. Potrebbe essere una sala d’armi o un salone di pianificazione bellica, o fors’anche una stalla per i loro destrieri. E forse lo è stata, magari a più riprese, con cambiamenti della destinazione d’uso. Sono stati guarda caso, come già detto, gli italiani a restaurare questo monastero di Filérimos durante il breve ma intenso periodo di colonizzazione di targa mussoliniana.
Dalla collina di Filérimos lo sguardo spazia tutt’attorno, senza limitazione alcuna. La Turchia è a portata di mano e anche le isole e le isolette del Dodecaneso. Da qui certamente potevano essere controllate le coste e le brevi pianure dell’isola di Rodi. E da qui si poteva senza dubbio meditare sulle alterne vicende umane e sull’irraggiungibile perfezione divina. Per questo mi pardi capire come il monastero dei cavalieri fosse stato costruito proprio qui: perché il militare e il religioso qui possono senza problemi convivere. Cercando i necessari compromessi. Quali? Quelli che mi suggeriscono i pavoni che scorrazzano sulla lunga scalinata che conduce al monastero: quelli dettati dalla bellezza.

mercoledì 10 aprile 2013

Tsambíka, fertili gradini



Viaggio nell'isola di Rodi/2 - Un santuario issato su uno sperone roccioso, con una vista straordinaria sulla costra orientale e sulla non lontana Turchia.

295. Tanti sono i gradini che tocca salire per accedere al piccolissimo santuario di Tsambíka, anzi Kýra Panagía Tsambíka, issato su una roccia a strapiombo sul mare, a 550 metri, sulla costa orientale dell’isola di Rodi. Ogni gradino ha l’alzata dipinta di bianco, e ogni cinque scalini una mano misericordiosa ha tracciato il numero di quelli già percorsi: 5, 10, 15… 295! Non pochi, soprattutto per le tante persone anziane che salgono quassù, per venerare la Vergine di Tsambíka. Ma, per fortuna, la maggior parte di coloro che salgono sul monte sono giovani e donne, perché qui la grazia richiesta consiste nel poter avere figli. Così sono frequenti anche le coppie che salgono portando sul petto o sulle spalle dei bebè, la grazia ricevuta. L’usanza vuole che il frutto di una tale grazia venga chiamato Tsambíko se maschio e Tsambíka se femmina!
Arrivati alla sommità della roccia, non si può non rimanere stupiti dallo straordinario panorama che da lì si può ammirare, che abbraccia la costa dell’isola da Rodi a Líndos, mostrando quelle straordinarie baie che costituiscono la bellezza e la grandezza del litorale. Viene da tuffarsi nel mare azzurro e verde e turchese, planando come novello Icaro alla ricerca della benedizione del cielo e di Maria. Ma quel che stupisce non poco è il confronto tra la maestosità del panorama che si gode da quassù e l’angustia della piccola chiesa che odora di olio, cera, incenso e sudore, ricolma di piccoli ex voto e icone d’ogni forma, dimensione e genere. Sta tutta qui – tutta qui? – la grandezza della Madonna, ovunque la si trovi nelle strade di questo mondo: nell’infinitezza portare la finitezza e elevare la finitezza a infinitezza. L’umile donna di Nazareth che si trasforma, per un imperscrutabile disegno divino, in madre di Dio stesso, incredibile! Ma qui a Tsambíka qualcosa di questo grande mistero svela i suoi arcani, allorché si esce dalla cappella di pochi metri quadrati e s’osserva dall’alto la piccolezza di questo mondo. Il manto azzurro di Maria è azzurro non a caso: vuole svelare il mistero di una donna di casa eletta regina dell’universo. Un manto d’acqua e di cielo.

giovedì 4 aprile 2013

Castello di Kámiro o Kástro Kritinía, nel punto più alto



Viaggio nell'isola di Rodi/1 - Costa occidentale, una delle tante fortezze costruite dai Cavalieri. La spinta irrefrenabile a salire.

Che Rodi sia l’isola dei castelli e delle fortezze, oltre che delle acropoli che spesso e volentieri appaiono delle fortezze o dei castelli, ci vuol poco a capirlo. Ma, ad ogni apparire improvviso d’un bastione o di un muro che prosegue la roccia, o ancora di un’incongrua merlatura nella natura circostante, il cuore sussulta: com’è possibile che nei secoli passati tanta gente abbia vissuto o sia morta per difendere uno di questi mostri di pietra? E com’è possibile che da queste alture così perfettamente isolate si pensasse di difendere le inermi popolazioni delle campagne? E, ancora, per quale motivo questi bastioni-bestioni sono ancora in piedi, almeno in parte?
Sono le domande che mi pongo anche quest’oggi, avvicinandomi con l’auto al Castello di Kámiro o Kástro Kritinía, a sud del sito archeologico di Kámiros e a nord del castello di Monólithos, entrambi i luoghi dalla vista assolutamente straordinaria. Più mi avvicino, più cresce quella irrefrenabile spinta a salire sull’altura che in questi giorni mi ha portato, mi porta e mi porterà a pagarmi decine di centinaia di passi in ascesa e gradini per accedere lassù, al piano dove gli dèi, o gli uomini degli dèi, si esprimono compiutamente. So già che salirò al castello di Kritinía, anche se già so egualmente che vi troverò poco o nulla. Tranne cielo, terra e mare. E così è. 
Nessuno in vista. Le due baracche da bibite e souvenir non hanno ancora aperto per la stagione estiva, il parcheggio è vuoto. E il castello è già imponente, col suo muro medievale ancora integro che si fregia di un paio di stemmi di pietra affiancati – il castello, costruito al tempo del Gran Maestro dei Cavalieri Orsini, fu rafforzata sotto Aubusson e Carretto, i cui fregi sono quelli oggi visibili – che inducono rispetto più che timore. Salgo i gradini polverosi che conducono al portone (aperto per fortuna), che pare risistemato di recente. Ed effettivamente quanto pensavo lo trovo realizzato, nel senso che trovo poco o nulla, anche se tutto ben restaurato. Probabilmente qualche locale è stato riattivato, ma tutto appare ermeticamente chiuso, e di guardiani non c’è evidentemente traccia. È già tanto che il sito sia aperto, coi tempi che corrono per l’economia greca! Così posso permettermi come un bambino viziato di salire sul punto più alto del castello, e sedermi per redigere queste note che sono vi vento, di sole, di terra, di mare, di cielo.