Riapre dopo lungui restauri la chiesa più nota dell'Algeria. Un segno di collegamento tra il Nord e il Sud. Nel segno del dialogo. Visita del 2005.
Lasciati all’immobile sguardo marino l’Ammiragliato e i Bastioni, lasciate le piazze popolate d’ogni età urbana e umana che dicono accoglienza e gioia d’esserci, la salita verso la collina del santuario di tutti gli algerini – cristiani e musulmani – è una catarsi di blu e di bianco, ancora. Notre-Dame d’Afrique sta, e basta. È lassù perché un vescovo cattolico l’ha voluta, nel lontano 1858, rispondendo a due donne pie che rimpiangevano la basilica lionese di Fourvière. Certamente. Ma sta lassù perché Maria-Mariam è il tratto comune delle due fedi qui professate, fors’anche più amata dai musulmani che dai cristiani. Bella la basilica non lo è, non lo è proprio. Ma sta, vestita di damascato da una mano kabyla e coronata dalla dorata scritta che incanta e stupisce: «Notre-Dame d’Afrique prie pour nous e pour les musulmans», Nostra Signotra dell’Africa, prega per noi e per i musulmani. Voglio fotografare la scritta dall’alto della galleria che ospita l’organo. Salgo una strettissima scala a chiocciola che pare africana anche nel colore, tanto è lisa e sporca. Ma lassù, tra l’aria stantia che sa di ceri arsi, di umidità e di salmastro, quella scritta voluta da mons. Pavy pare una profezia. Sarà quella donna a riunire le due fedi, nella preghiera comune e nella comune volontà di unire oltre ogni logica divisione. Africa ce n’è a volontà, su questa collina, non solo per la presenza d’algerini, ma anche per quella di tanti africani subsahariani che da queste parti studiano o lavorano. Il panorama è mozzafiato, come da Nostra Signora della Guardia a Genova, come da Notre-Dame des pecheurs a Marsiglia, come dalla casa di Maria ad Efeso… Maria-Mariam veglia su tutti i suoi figli.
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