mercoledì 13 febbraio 2013

Martinborough, ovvero del pinot noir e dei cieli a ciuffi



Viaggio in Asia e Oceania/5 - Nuova Zelanda, dove gli spazi sono una prerogativa della natura e dell'habitat umano. Soprattutto alzando lo sguardo.

Agli amici che mi ospitano a Wellington, avanzo la richiesta di recarci in campagna: in effetti non si possono trascorrere anche pochi giorni in Nuova Zelanda senza riuscire ad apprezzare dal vivo la normalità bella del countryside, il verde più verde di questo Paese grande come l'Italia ma popolato da soli 4 milioni di abitanti. Si decide perciò di andare a far brunch a Martinborough, la capitale neozelandese del pinot noir, ad un centinaio di chilometri dalla capitale. Scavalcata la Rimutaka Range, verdissima e densissima di vegetazione, la campagna si fa piatta, allungandosi quasi per effetto del vento, che riesce a piegare gli alberi e da queste parti fors'anche la terra e le pietre. È una campagna popolata da mucche e pecore, più che da umani: le fattorie sono sparse, i mezzi meccanici radi, gli uccelli restano appollaiati sui rami dei pochi alberi che s’intromettono nei pascoli.
Martinborough si annuncia con tre o quattro tenute dove si coltiva la vigna e si produce vino: pinot noir, soprattutto, ma anche riesling, cabernet e merlot e semillon. Sui filari stanno maturando grappoli di uva fitti e massicci, che paiono promettere un buon sacco. Non un solo filo d'erba è fuori posto, i fiori sono piantati in modo preciso per ingentilire la scena, gli alberi di essenze spesso sconosciute in Europa segmentano lo spazio, conquistando alla vista degli umani l'abitabilità del pianeta. Le casette dipinte di banco e di tinte pastello – il beige, il rosa, il verde acqua, il rosa, il cremisi, il celeste – si intrufolano nella vegetazione con uno straordinario gusto; ma in realtà con il loro fare sbizzarrito e in fondo timido, non provano eccessiva difficoltà nel trovare l'armonia giusta, quella che fa sì che la Nuova Zelanda sia terra di natura e di bellezza. Non da cartolina, anche se qualcuno potrebbe pensarlo perché qui la qualità estetica e quella naturalistica vanno sempre associate, per avere il buon senso della giustizia estetica.
Ma a Martinborough scopro soprattutto i cieli di questa remota regione del pianeta: larghi, ampi, senza confine, azzuffati o azzimati. L'abitato è basso, la vegetazione non svetta e la terra è forse addirittura leggermente convessa per fare spazio al cielo, anzi ai cieli. Nei quali appaiono e scompaiono, si fanno e si disfanno, i ciuffi di rafia, di saggina, di cotone, di seta e talvolta pure di lana delle nuvole. E così mi diverto un mondo a fotografare i frontoni delle casette di legno del piccolo centro cittadino – una piazza alberata, quattro o cinque bar, un paio d'hotel e qualche negozietto carino che espone oggetti di artigianato vinicolo – alla base dell'inquadratura, col resto della foto tutto di cielo. Ed ogni fotografia è un cielo diverso. Passo così di cielo in cielo.

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