mercoledì 3 dicembre 2014

Astana. Dov’è la persona umana? Anche qui

Viaggio in Kazakistan/9 e ultima puntata - Nella capitale si fa sfoggio di architetture rilucenti, anche se non sempre comprensibili

Ci sono città costruite per il volere di una sola persona che, pur animata da ottime intenzioni, nei fatti considera tutti i suoi “simili” non tali ma “uguali” a sé. Quindi, facile sillogismo, quel che tale demiurgo ritiene vero e buono e bello per sé per forza di cose nella sua mente lo deve essere anche per gli altri, per i sudditi. È probabilmente questo il pensiero che ha mosso Nursultan Nazarbayev quando ha voluto trasferire la capitale del Kazakistan da Almaty ad Astana, fin’allora una modesta città di nome Akmola, uno dei tanti centri senz’anima della sconfinata steppa kazaka a cui era legato affettivamente, ma soprattutto più centrale nell’immenso Paese centrasiatico e più vicino alla Russia, cioè all’ex-Unione Sovietica di cui Nazarbayev era stato fedele servitore. Mutatosi in pochi istanti da comunista a post-comunista, il campionissimo del Kazakistan ha identificato il nuovo corso della Storia con la propria persona, peraltro non senza intelligenza e con la straordinaria fortuna di essersi ritrovato nel sottosuolo risorse di petrolio e di gas, ma non solo, che dire straordinarie è poco. La gente se non altro lo sopporta, anche se non lo supporta, per non dover cadere nelle spesso tragiche e paradossali avventure delle democrazie post-comuniste (anche se dubito che la popolazione lo ami sinceramente, salvo ovviamente i nostalgici del comunismo).
 

Astana, dunque: spazi enormi, come in tutte le città che vogliono esprimere ideologicamente un istinto di grandeur. Ma che non può mai realizzarsi senza una vera e propria grandeur culturale, che invece qui latita. Basta osservare le architetture, le insegne dei negozi, le balaustre che tocca rifare dopo un anno perché sono state tirate su troppo in fretta e senza un vero savoir faire, gli spazi occupati secondo logiche che stanno solo nella mente dei progettisti ma non in quelle degli utilizzatori. Difficile sentirsi a proprio agio in una città che non ha storia, se non di fiato corto, che non ha assunto su di sé e metabolizzato gli errori del passato, che non ha stratificato in una scala precisa di valori le bellezze sociali e culturali, scartando via via le inevitabili brutture. E potrei continuare.
Eppure il fattore umano – quello che tocca il cuore e l’anima – lo trovo anche ad Astana, non me lo sarei aspettato. All’agenzia di viaggio, al distributore di benzina, al parco giochi, al bar, alle toilette, al semaforo. Ovunque tale fattore umano, nonostante il contesto sfavorevole, trionfa, non si fa soffocare dalla grandeur pacchiana. E resterà, ne sono convinto, quando queste esagerazioni architettoniche saranno crollate. Resterà il sorriso del bimbo che mi offre un sasso, il clin d’oeil del poliziotto che mi fa usare le toilette del distributore di benzina, il barman che vorrebbe offrirmi una birra ma che non può perché il locale è ancora chiuso per gli avventori, il businessman che mi indica la via in un inglese anglo-kazako fantasmagorico. Evviva Astana, allora! Evviva gli astanini (ma si dice così?)!

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