giovedì 2 agosto 2012

Singapore, dove l'intraprendere è cultura


Nella città-Stato asiatica, la vita delle gente scorre come un grande fiume lavorativo, tutto impegno e guadagno. Ma c'è dell'altro, per fortuna.
Stupisce, Singapore, per una quantità di motivi. A cominciare dall’estrema pulizia che contraddistingue tutta la città, o quasi. C’è poi da registrare la qualità dei servizi offerti dalla municipalità, che è anche amministrazione statale, come il metro, che taluni qualificano come il migliore del mondo, forse non a caso. Singapore colpisce pure per la cura di ogni elemento naturale: le strade contano tutte sulla presenza di alberi, fiori ed arbusti, curatissimi, in particolare i rain tree, gli alberi della pioggia ombrelliformi. Persino l’asfalto pare curatissimo, viene il sospetto che lo spazzino di continuo, nelle larghe strade della città. Si nota pure la grande differenza tra il centro della città – svettanti grattacieli mescolati alle preservate e curatissime costruzioni coloniali – e i quartieri dormitorio della periferia, anonime anche se curate e brulicanti di gente.
Osservando poi la popolazione, si nota una profonda e inveterata mescolanza di razze, vissuta in un’estrema naturalezza. Colpisce anche il fatto che nei trasporti pubblici o per strada la gente di ogni età, ma ovviamente con una preponderanza giovanile, sono intenti a consultare o a giocare coi propri smartphone o tablet: i sorrisi sono praticamente inesistenti in pubblico. Scorgo solo una donna dai tratti somatici indiani che ride: perché sta vedendo un film sul suo telefonino! La gente sembra soddisfatta del proprio governo – esecutivo composto da sempre dalla classe imprenditoriale che domina lo Stato, che assicura servizi impeccabili e una grande sicurezza: dopo gi attentati degli anni Novanta, l’intera popolazione ha collaborato attivamente allo sradicamento del morbo terrorista, e ancor oggi ovunque appaiono cartelli che invitano alla collaborazione nella lotta all’insicurezza, con numeri verde sempre disponibili per le denunce anonime. Le ragazze appaiono anche qui le più influenzate dalla vena consumista: non solo perché usano i loro smartphone con una costanza e una tenacia quasi ossessive, ma anche perché paiono le fotocopie delle modelle di razza ed età indefinibile che imperversano nell’immaginario collettivo pubblicitario. A gambe nude, in short colorati, quasi tutte, ma senza scollatura. I ragazzi appaiono più trasandati e in fondo poco interessati all’estetica, molto più all’informatica.
Basta poco per accorgersi che la società è nei fatti divisa in tre: i ricchi, che non sono pochi, che vivono al centro o nei quartieri residenziali, che usano l’auto – si paga per entrare in centro con sofisticati modi di pagamento automatici –, che si servono nelle boutique di lusso, che non hanno problemi di conto in banca, che fanno studiare i propri figli nei collegi più esclusivi, quasi tutti europei. C’è poi la classe media, o medio-bassa, che abita nei casermoni delle periferie, soddisfatta di quanto viene offerto dal governo, integrata perfettamente, con interessi culturali piuttosto limitati. E poi gli immigrati – ormai superano il milione –, dediti ai lavori più umili, pagati comunque correttamente ma senza diritti particolari; abitano nei quartieri più lontani ed evidentemente inviano la massima parte dei loro guadagni a casa, nelle Filippine, in India, nel Bangla Desh, in Indonesia.

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