martedì 3 settembre 2013

Nossa Senhora do Rosário dos Pretos, candomblé o cristiani?



Viaggio in America Latina/3 - A Salvador de Bahia c'è la più alta concentrazione di fedeli di culti di origine africana

Era posta appena fuori dalle mura della città di Salvador da Bahia, capitale del Brasile portoghese, costruita extra moenia dagli schiavi di origine africana – provenienti da una vasta zona che comprendeva Angola, Congo e altri territori limitrofi –, perché dentro la zona bianca per i non-liberi l'accesso era negato se non, appunto, a schiavi, senza diritti né alcuna possibilità di partecipare ai culti nelle chiese d'oro, come quella di São Francisco, che si favoleggiava tutta d'oro e azzurra di azulejo provenienti dal Portogallo. Avevano le loro credenze e i loro riti, quegli africani, ma i frati francescani arrivati al seguito dei colonizzatori non ne volevano sapere di autorizzare, erano frutto del demonio e della perversione, del sottosviluppo e della superstizione. Dovevano invece partecipare al culto della sola vera religione, quella latina cattolica romana, e non potevano coltivare riti passati. Schiavi. Doppiamente esclusi.

La costruzione della chiesa degli schiavi, Nostra Signora del rosario dei neri, fu un passo in avanti per gli africani, grazie anche all'azione di alcuni frati, italiani in particolare, che consigliarono agli schiavi di accettare la nuova fede cristiana, senza tuttavia rinunciare alla loro fede tradizionale: i francescani spiegavano ai parrocchiani di pelle nera che Gesù Cristo, Maria, sant'Antonio e San Pietro non erano altro che la verità di fede degli dèi che loro veneravano. Lo si capisce bene, il confine tra sincretismo e legittima integrazione è strettissimo, e forse impossibile da individuare.

Fatto sta che il culto candomblé, quello degli schiavi, è sopravvissuto nei secoli celato nel rito di santa romana Chiesa, clandestino ma nemmeno troppo, se è vero che ancor oggi i fedeli di tale forma religiosa tradizionale sono in crescita in Brasile, a Salvador da Bahia in particolare. È uno dei tanti casi conosciuti di tradizioni religiose autoctone spezzate via alla fede dei colonizzatori, ma risorgenti in forme e tempi insospettabili: penso ai culti aymara, in Bolivia, o a quelli maya in Guatemala. Il cristianesimo, religione inclusiva per eccellenza, ha potuto più di altre religioni capire le esigenze e le ritualità delle religioni tradizionali, cercando di integrare senza eliminare la centralità di Gesù Cristo. Sì può discutere dei risultati.

Ogni martedì sera, a Nossa Senhora do Rosário dos pretos, si celebra la “messa dei neri”, cioè quella della comunità candomblé locale. Un'ora prima della celebrazione, un prete nero evangelizza la folla presente di fedeli afro-brasiliani, frammenti a turisti e passanti. Pone domande, esige risposte, spiega il senso di riti, delle musiche che verranno suonate, delle pitture esposte nella chiesa, del senso della santità, dell'amore di Gesù per i poveri e gli emarginati, dei fondamenti della fede cattolica romana, della visita del papa che ha luogo in queste ore a Rio de Janeiro. C'è una bella confusione in chiesa, in un banco laterale si vendono candele e fiori e immagini votive, mentre alcuni anziani vagano per la chiesa un po' sbadati e un po' ruffiani, parlando a voce alta con tutti e con sé  stessi. C'è vita, indiscutibilmente, l'atmosfera è così diversa rispetto alle nostre chiese europee che in confronto paiono mortuori!

Alle sei la messa ha inizio. La festa comincia. Le musiche, ritmatissime da tamburi di varie forme e dimensioni, vengono accompagnate con trasporto dai presenti, spesso è volentieri portati a muovere le mani e le braccia e tutto il corpo, in ondeggiamenti ed espressioni che sembrano più da balera che da chiesa, secondo i nostri parametri eurocentrici. E mi trovo ad immaginare la reazione di un pur fedele devoto della Chiesa cattolica romana dedito al rito di Pio V. Da ridere e da piangere! Ma, che lo si voglia o meno, anche questa è la Chiesa di Roma, che associa tradizionalisti e candomblé.

Cinque sono le processioni, partecipatissime, che scandiscono la celebrazione: quella dell'inizio, quella dell'offertorio, una terza per il Sanctus, una quarta per la distribuzione della Eucaristia e un'ultima per la distribuzione delle michette di pane benedette. Processioni che hanno un andamento assai danzante, mentre gli applausi a scena aperta si susseguono e si inseguono. C'è trasporto, coinvolgente, al punto che anche un fedele compassato come il sottoscritto si ritrova a battere le mani e persino a danzare. La sorpresa più grande la conosco al momento della distribuzione dell'Eucaristia, perché ben poca gente si mette in fila, mentre tutti, nessuno escluso, al termine della celebrazione si avvicinano all'altare per ricevere dalle mani di una anziana signora (che pare una sacerdotessa) il loro pane, che immediatamente sbocconcellano avviandosi all'uscita. Il fatto è che tanti dei presenti vivono ancora nella situazione sincretista di una fede tradizionale ancestrale che tuttora fatica ad assumere tutte le forme e la sostanza del culto cristiano. Lo stesso sant'Antonio di Catejerol, cui la messa è che dedicata, appare una figura più carica di emozioni e sentimenti candomblé che francamente cattolici.

Ma tant'è, il fervore degli astanti è tale che non mi interrogo più sulla pertinenza teologica delle forme culturali di certo misticismo emotivo. Qui si prega. E mi presto ben volentieri all'aspersione finale, all'uscita dalla chiesa, impartita con un'ampia fronda di palma che viene immersa in un bidone di acqua benedetta: ci ritroviamo tutti inzaccherati ma felici per la comunione vissuta a Nossa Senhora do Rosário dos pretos.

Nessun commento: