lunedì 17 febbraio 2014

Grenville, il piccolo tonno


Ancora nell'isola di Grenada, un villaggio poco frequentato dai turisti, tra povertà e familiarità dei rapporti. 

La costa atlantica delle Isole Sopravento è inequivocabilmente la più selvaggia e quasi sempre difficile da nuotare. Non fa eccezione nemmeno l’isola di Grenada. I villaggi e le cittadine che s’allungano sulla costa paiono allora tutt’altro che dei luoghi turistici tradizionali, essendo praticamente assente ogni sito da tour operator. Meno male, da queste parti rischio d’incontrare la normalità dei grenadini, o come si chiamano gli abitanti di questa terra caraibica.
Non mi metto nemmeno alla ricerca di un qualche monumento o di qualche architettura degna di nota: tutto pare precario, salvo qualche chiesa protestante che accenna a un guizzo kitsch, solo kitsch. Le più interessanti appaiono le abitazioni di legno del secolo scorso restaurate alla meno peggio, senza stravolgerne i connotati. È domenica, tutto è chiuso e quindi la città appare un luogo di fantasmi, salvo per le celebrazioni domenicali. Per cercare un po’ di vita m’avvicino al mercato del pesce e al porto, sperando che il Dio dell’incontro mi guardi con benevolenza. Lo fa. Ha dapprima il volto di una giovane donna che, al bar dove sorbisco un caffè peraltro delizioso, mi si avvicina con un sorriso sdentato reso ancora più mostruoso da due labbroni esagerati invitandomi a renderla felice. Il che per me vuol dire offrirle un caffè, per lei ben altra cosa. Il commercio naturalmente sfuma, mentre accanto a lei amici e avventori se la ridono della grossa e poco importa se quella giovane donna m’appare una vittima innocente… 
Saluto e avanzo verso il fish market, che trovo però chiuso. Avanzo ancora qualche decina di metri finché mi ritrovo in mezzo a un gruppo di pescatori di piccolo cabottaggio che discutono il prezzo dei loro pescetti con gli avventori. Ne fotografo tre, rossi come peperoni, su una bilancia. Poi un giovane grosso e arrogante mi vieta ogni attività fotografica accusandomi di essere un «bastardo crocierista». Confesso che l’epiteto mi colpisce e m’offende, ma non riesco a volergliene neanche un po’. M’allontano di qualche metro, appena lo spazio per cambiare d’universo relazionale: dall’acqua emerge un vecchio rasta che regge in mano un piccolo tonno nero. Sale i due gradini sbeccati del molo e su un tagliere che era un banco di scuola si mette a pulire la sua preda preziosa, raccontandomi nel contempo la protologia e l’escatologia di Grenville. Anche se capisco ben poco, qui si parla un idioma simil-inglese che nasce e muore in bocca, trovando appena il tempo di lasciare qualche traccia all’esterno dell’orifizio buccale… S’avvicina un secondo rasta, più giovane, che prende ad attaccare il suo collega che m’aveva apostrofato: «I ragazzi d’oggi vivono qui come reclusi. Vorrebbeo tutti essere a New York o a Londra».
Un giovanotto fa una sgasata con la sua barca, un vecchio pesca alla lenza, un ragazzo dinoccolato porta in giro la sua musica assordante in un’enorme scatola. Benvenuti a Grenville!

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