lunedì 20 giugno 2011

Castelnuovo l’abate, il Medioevo sospeso


Nel cuore della Toscana, un borgo dove le pietre sanno di vino.


Un’indicazione stradale nel bivio che sottostà al paesello ha cancellato dalla scritta “borgo medievale” il “me” iniziale e l’“evale” finale, cosicché si legge alla fine “borgo dio”. Un borgo isolato su una dorsale collinare, sormontato da un campaniletto che, già da lontano, pare inadeguato all’opera per cui è stato costruito: dare prestigio all’abitato. Vi ero passato accanto più volte, perché proprio nella valle dominata dal borgo si erge dolce e maestosa, luminosa e fiera, l’Abbazia di Sant’Antimo, storia che torna a ritroso nel tempo fino all’VIII secolo e a una presunta fondazione carolingia, nulla di provato, anche se la tradizione pare solida.

Oggi, complice una gita che si prolunga nella sera, salgo al borgo, percorrendo un’erta che non mi aspettavo, che porta ad un borgo tuttora abitato da non poche persone, da famiglie che lavorano nel vino, nell’olio e nel turismo, in una delle zone italiane in cui l’agricoltura è ancora eccellenza. Che qui i soldi ci siano appare evidente sia dalle auto che dalla cura dei dettagli, che dalla tradizione di rispettare la proprietà comune, il bene comune. Un’esperienza che merita di essere ricordata di questi tempi, in cui il bene individuale pare assolutamente vincere su ogni altra priorità, in un abuso di egotismo.

Nel bel mezzo del centro medievale, anzi no, verso il termine della via principale, un’impasse, proprio dinanzi alla pieve dei santi Filippo e Giacomo, del XIII secolo, un gioiello di semplicità e armonia di forme e dimensioni, sta un palazzotto signorile più tardivo, d’epoca rinascimentale, altero e coquin, irraggiungibile da parte d’ogni altro villico sforzo architettonico. È il palazzo dei conti Ciacci Piccolomini d’Aragona, famiglia un tempo nobile e ricca, ora solo ricca del vino prodotto nella loro fattoria che giace nella vallata dell’abbazia. Il portone d’ingresso è socchiuso, fuoriesce odore di polvere e di legno, di vino e d’incenso, di mistero. Nessuno. Spingo la porta e nella penombra riesco a riconoscere bottiglie e attrezzi per la produzione del vino, quadri antichi e alabarde, insegne nobiliari, tini e botti. In fondo a un lungo corridoio s’apre uno scorcio di luce, come un respiro di primavera.

1 commento:

Anonimo ha detto...

A truly wonderful place! Thank you dear Michele!