In attesa del completamento del nuovo Canale di Panama, godiamoci il grande gioco dei vasi comunicanti.
Pare un giochetto da ragazzi, quello dei vasi comunicanti, un esercizio da scuole elementari. Eppure quando per un’ora e passa ci si mette di buzzo buono – per via del caldo afoso e umido – ad osservare le Chiuse di Miraflores, sul versante pacifico del Canale di Panama, ci si dice invece che quel giochetto è una grande, grandissima intuizione che l’uomo ha saputo escogitare. È un’opera di ingegno ancora oggi straordinaria: quasi un secolo fa ha avuto il suo battesimo, grazie agli ingegneri statunitensi che furono messi all’opera. I francesi ci avevano provato, ma fallirono. L’opera fu completata nel 1914, cosò l’inaudita cifra di 375 milioni di dollari e 5609 vite umane, che si aggiunsero alle 20 mila del tentativo francese.
Fa certo un effetto fuori dal comune scorgere i container impilati in modo ordinatissimo sugli enormi bastimenti che attraversano le chiuse mentre si innalzano al livello dello sguardo, beffardamente, e poi se ne vanno come se nulla fosse. Quasi che sia normale elevarsi sulle montagne grazie all’elemento più orizzontale che esista, l’acqua. Le montagne di container sullo sfondo delle colline rutilanti di vegetazione tropicale paiono sfidare tecnologicamente la natura stessa, ma sapendo che sono perdenti, perché senza l’elemento più naturale che esista nulla potrebbe essere fatto contro il volere della Madre. Eppure anche l’acqua senza la tecnologia non potrebbe mai innalzarsi nel suo stato liquido. Solo lo stato gassoso può permetterle di salire al cielo senza difficoltà.
Le locomotive di fabbricazione svizzera ruzzolano su e giù per le chiuse, seguendo i binari che corrono paralleli alle strette vie acquatiche, trascinando con le loro piccole forze le grandi, immense navi che paiono tali per via della mole enorme di container che trasportano. Tutto è regolato come un orologio svizzero in queste chiuse che ogni giorno permettono di far passare 43 navi, per un ricavo che va dai 4 agli 8 milioni di dollari al giorno. Ogni dettaglio è seguito con meticolosa precisione, e forse per questo in tutta la storia del canale non si è mai registrato un incidente di grande portata.
Grandi e piccoli osservano il movimento delle navi e delle locomotive con straordinaria passione, quasi che il giochino dei vasi comunicanti fosse anche una comunicazione tra generazioni. E certamente lo è, visto che dall’alto i movimenti dei mezzi paiono come un enorme meccano che si fa e si disfa una quarantina di volte al giorno, ed entusiasma sempre e pare sempre nuovo, mai scontato o banale. Su e giù, su e giù, sperando che non si rompa mai, se ci stiamo attenti. La natura e la tecnologia a Panama si sposano alla perfezione. Ora, per il centenario, la Compagnia del Canale di Panama, ormai totalmente panamense, vuole terminare il nuovo canale, a cui sta lavorando dal 2006, rendendolo più largo e totalmente informatizzato, in modo da far passare anche le navi da 150 mila tonnellate. Speriamo che ciò non faccia rimpiangere il vecchio matrimonio, provocando qualche inatteso incidente. Tutto è possibile, purché non si perda di vista che l’uomo sempre e comunque deve, dovrebbe essere al di sopra di tutto ciò.
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