martedì 9 ottobre 2012

Lago Tamblingan, la foresta, le canoe e le tende



La bellezza dell'ambiente non riesce a nascondere il dramma della popolazione locale vittima di una grave inondazione

Nel cuore dell’isola indonesiana di Bali, piuttosto decentrato verso Nord a dire il vero, tra vulcani e valli che ripidissime scendono al mare, tre laghi vulcanici sono attrazione non solo e non tanto per i visitatori stranieri, quanto per il turismo locale. L’accesso infatti non è dei più agevoli e la struttura turistica lascia a desiderare. Bisogna accontentarsi, meglio così. I laghi Tamblingen, Buyan e Bratan e Bedugul hanno un che di familiare e di semplice che vien proprio voglia di praticarli un po’. Scelgo il primo, il più piccolo, il meno accessibile, il meno frequentato. E penso di non sbagliarmi, non solo per il suo accreditamento geografico: il lago Tamblingan.

Vi si arriva percorrendo una di quelle stradine asfaltate ripidissime – spesso e volentieri oltre il 20 per cento – a cui il viaggiatore balinese fa presto il callo. Ed è una buona preparazione, quella di scendere in tre chilometri i circa 300 metri di dislivello che separano la costa della montagna dallo specchio d’acqua. La vegetazione è lussureggiante, i chiodi di garofano stesi ad essiccare profumano l’aria, i tempietti sono tutti cinti dal drappo rituale e con offerte fresche fresche dinanzi a loro, l’incenso acceso, i fiori arancione e qualche frutto.
Una sorta di cooperativa riunisce coloro che lavorano nel parco naturale del lago. È con loro e solo con loro che ci si può avventurare nelle foreste e nello specchio d’acqua. Non nego una certa iniziale ritrosia ad accettare tale imposizione, ma non c’è nulla da fare e le facce buone e sorridenti dei ragazzi mi fanno accettare di buon grado. Arit, questo il nome del mio accompagnatore, mi porterà in un breve cammino nella foresta di un’ora circa, per poi tornare insieme con una delle canoe tipiche della zona. Il tutto per una dozzina di dollari. È piccolo, Arit, pare un adolescente, anche se ha 24 anni ed una figlia. Parla un inglese stentato, senza vocali, ma ci si capirà sempre meglio nel corso della convivenza. Che nella foresta permette di ammirare una vegetazione esuberante, che segmenta la luce per poi moltiplicarla, rilanciandola, raffinandola. Alberi giganteschi si ergono maestosi trascinando con sé verso l’alto piante parassite di dimensioni più che ragguardevoli. Prati di felci si divertono a solleticare il gusto estetico di chi li fende, come uno specchio d’acqua, creando flessuosi cerchi concentrici. La foresta, insomma. Dopo 40 minuti, ecco l’avvisaglia del tempio che è la nostra meta, il Pura Dalem Gubug: d’improvviso nella boscaglia appaiono inusitati una dozzina di ombrelli bianchi e gialli, i colori sacri (anche) da queste parti. Visione divertente, oltre che insolita. E poi il tempio, modesto e a pelo d’acqua: fino ad un mese fa era inondato per via delle grandi piogge di febbraio e marzo. È in questi frangenti che Arit mi racconta il dramma della sua famiglia: da tre mesi vivono sotto delle tende portate dalla protezione civile indonesiana, dopo un mese trascorso semplicemente nella foresta, perché il villaggio è stato anch’esso invaso dalle acque: Tamblingan non è ancora praticabile.
Ma si riparte, verso la pagoda a undici livelli, modesta ma ben tenuta, che s’erge su un promontorio al centro del lago di Tamblingen. Elegante, bella, protetta da due ombrelli bianchi ad Occidente e da due gialli ad Oriente. Una breve sosta, il tempo per Arit di raccontarmi della sua famiglia, povera al limite della miseria. Poi scendiamo il promontorio verso la pagaia, doppia pagaia in realtà, che ci porterà a destinazione. Al comando c’è una giovane donna, una dei 32 abitanti di Tamblingan. In mezz’ora di grande calma attraversiamo il lago, dirigendoci proprio verso il villaggio di Arit che si fregia di un tempio a suo modo imponente, ora un’isola ma non sempre lo è, con tre pagode a undici livelli che impressionano non poco. E, alla loro ombra, ecco le case del villaggio, un informe conglomerato di legno, bambù, plastica e lamiera, brutto e precario. Dietro di esso, sotto i primi alberi, spiccano i colori sgargianti ed elettrici delle tende della protezione civile, nelle quali l’intero villaggio s’è trasferito: ordinato e a suo modo pulito. Ci sono tante gabbie di uccelli multicolori, che rallegrano l’aria e l’ambiente, e qualche vecchio e qualche giovane, e la madre e la figlia di Arit, e una loro dolcissima amica, e suo fratello che sogna una moto, mentre la moglie di Arit è al lavoro, non si capisce dove. A Tamblingan la vita scorre in fondo come prima, in mezzo alla natura. E forse i letti da campo della protezione civile indonesiana sono più comodi di quelli vetusti che i 32 abitanti avevano nelle loro case in riva al lago. Tornando verso l’auto m’accorgo che i campi, tutti i campi, sono coltivati a fiori. Per le offerte votive.

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