martedì 22 gennaio 2013

Johor Bahru, la città inafferrabile


Viaggio in Asia e Oceania/1 - Finché non afferri la mano di uno dei suoi abitanti, e allora capisci il perché di un centro di un milione e mezzo d'abitanti, la terrazza della Malesia su Singapore.

Difficile afferrare una città come Johor Bahru, che vive della vicinanza di Singapore, attraverso il braccio di mare – lo stretto di Singapore –, e quindi della buona posizione economica, come retroterra della grande metropoli anglo-sino-malese, che continua a svolgere la sua funzione di Svizzera dell’Asia meridionale nonostante le qualche difficoltà economiche del momento.
Difficile afferrare una città percorsa, quadrettata direi, da autostrade a tre o quattro corsie, che la circuiscono ma anche la trafiggono, al punto da impedire lo sviluppo di un vero centro della città. Pare di dover conoscere solo i pannelli stradali che riesci a ricordare, e poco altro, qualche raro tempio indù che appare al di sotto di uno svincolo, le torri degli alberghi della città, spesso piuttosto pacchiane e mai veramente completate.
Oggi il buon amico Adrian, cinese che possiede un’avviata fabbrica di cibo surgelato, ci scorrazza nel centro della città, anche se bisogna dire che per via del traffico oggi assai difficile, non riusciamo a compiere che poche delle visite previste, e per giunta di corsa. Ma tant’è, non è che Johor Bahru abbia grandi attrattive. Fotografo in effetti un modesto tempio indù, un altro di religione baha’i, la moschea reale del sultano Abu Bakar, qualche palazzo in stile coloniale (britannico, ovviamente), un paio di musei ospitati in vecchie abitazioni della metà del XIX secolo, candide e percorse da rigurgiti europeistici, una dozzina di grattacieli esteticamente potabili, purtroppo inframmezzati con scarso senso storico alla parte più vecchia della città, e appunto il centro storico. Che si riduce a poche stradine trafficate e disordinate che uniscono Little India, Chinatown, concentrati malesi con qualche tocco di singaporianesimo, una chiesa cattolica neogotica dedicata a Notre Dame.
Non c’è anima nel centro, perché la città ne ha non pochi di centri, purtroppo coagulatisi attorno ai mall, ai grandi centri commerciali dove rivivono i vecchi borghi di shophouse, cioè le case a due livelli con al piano terra il negozio protetto da una breve tettoia che si unisce a quelle dell’edificio che la precede e dell’edificio che la segue, e al piano superiore l’abitazione. Colori sgargianti mal coordinati tra di loro, nere tracce di umidità, insegne disordinate e spesso pacchiane, luminarie tra il natalizio e il kitsch… Questo è il centro di Johor Bahru. Nulla d’importante. Salvo che dopo qualche momento di indecisione mi accorgo che in fondo non si sta male nella città, che i punti di riferimento non mancano, che il milione e mezzo di persone che la abitano sono fieri della loro urbanità, che i ristoranti sono buoni, che la gente ti sorride, che anche sotto la pioggia ci si diverte a passeggiare…
Johor Bahru è inafferrabile finché non serri la mano di un suo abitante. Allora abiti la città e l’apprezzi come una stretta di mano familiare. Appunto.

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