venerdì 16 ottobre 2009

Cricova, il vino sotterrato


Visita ad una delle più sorprendenti località moldave, dove il vino è da sempre una tradizione intoccabile, che dimostra le indubbie capacità della gente di questo piccolo stato che fu la Bessarabia.

Sono ben 120 i chilometri di gallerie, ad una profondità che varia dai 30 ai 150 metri, che costituiscono la rete delle cantine dell’enorme azienda vinicola di Cricoca, la più grande azienda della piccola Moldova, una dozzina di chilometri a nord di Chisinau. Gallerie scavate negli anni Cinquanta, con dedizione e precisione.

È perciò un’esperienza non da poco quella che si vive percorrendo quei budelli sotterranei, quel dedalo di gallerie che si snoda con grande ordine, che ospita la bellezza di quattro milioni di litri del nettare di Bacco, qualcosa in più, qualcosa in meno, dipende dalla domanda internazionale dell’anno in corso e da quanto vino si sia prodotto nei Paesi concorrenti. Senza dimenticare il milione abbondante di bottiglie da collezione, tra cui si notano quelle appartenute al gerarca nazista Hermann Goering, e a lui sottratte dall’Armata Rossa, e quelle recentemente acquistate da Vladimir Putin.

Impressiona non poco lo spettacolo delle botti e delle botticelle ben allineate nei cunicoli, scure o chiare ma tutte bordate di rosso, invariabilmente marchiate da un’etichetta metallica, tutte curate da una mano che non è solo quella dello Stato impersonale. Perché è vero, lo Stato moldavo è ancora proprietario delle cantine di Cricova, così come delle vigne e dei terreni calcarei attorno alla città. Uno Stato ancora sovietico nei suoi meccanismi burocratici, eppure percorso da strani e improvvisi fiotti di liberismo concorrenziale, quello che permette di trovare espedienti produttivi, e di far pagare le visite la bellezza di 35 euro… Perché, nonostante la vastità di questi depositi “di vini”, il vino di Cricova sta scendendo nelle classifiche enologiche del mondo intero, così come in quelle del mondo ex-sovietico.

Il trenino rosso delle cantine mi trasportano lentamente nella fresca temperatura dell’underground, che nel confronto con l’esterno appare addirittura freddo, lungo budelli che odorano di spirito, ma senza eccessi, fino a giungere al livello più profondo della rete, lì dove si imbottiglia e si conserva il fiore all’occhiello della produzione di Cricova, quella del vino frizzante prodotto col metodo champenois. Operaie e operai s’ingegnano attorno ai macchinari con la più classica “non-partecipazione” della migliore tradizione comunista. È proprio in queste cantine, allora, che mi rendo conto di quanto la trasformazione delle abitudini e dei riflessi condizionati da un sistema “forte” come quello del socialismo reale sia non solo lungo, ma pure dall’esito incerto.

La visita non può che concludersi nelle calde sale di degustazione delle cantine di Cricova, saloni a loro modo straordinari, una città sotto la città e sotto le vigne, tutti di marmo e di finestre finte a vetrate, coloratissime, mentre alle pareti si alternano affreschi di dubbia qualità che dipingono la vita silvana e campestre della gente moldava, quella di una volta, in qualche raro caso ancora attuale. Sale e saloni d’ogni forma e dimensione, a tema o a colori, in qualche modo sorprendenti e a loro modo belli.

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