giovedì 13 maggio 2010

Fatima, smisurato sagrato


Il papa in visita in Portogallo si ferma a pregare nel luogo delle apparizioni mariane ai tre pastorelli. Reportage, 1986.

Perché la Madonna permette che i luoghi delle sue apparizioni siano nove volte su dieci deturpati dal commercio e dal pietismo architettonico? A Fatima non posso non pensare così, di fronte ad una basilica di fattura mediocre – ora stanno costruendo un enorme ostensorio sdraiato da 10 mila posti a sedere –, che chiude una piazza sconfinata grande due volte quella di San Pietro. La bruttura, o piuttosto il cattivo gusto, sembrano voler schiacciare i luoghi della manifestazione della femminilità più assoluta, della bellezza portata in Cielo. Così è.

Accedendo allo smisurato sagrato della basilica, una giovane si para innanzi a me e ai miei giovani amici, e con fare gentile eppur fermo ci invita a non avvicinarci ai luoghi santi dell’apparizione di Maria ai tre pastorelli: «Mi dispiace, non siete vestiti correttamente, siamo in un luogo santo». Che dire? Non abbiamo che calzoncini corti e maglietta, niente di scandaloso, siamo in vacanza. Sotto i baffi (per chi ne è fornito), a mezze parole, la rivolta dei giovani amici stenta a costringersi entro limiti accettabili.

Ci sediamo in ordine sparso sui muretti che cingono la più grande piazza del mondo, così dicono. Il nervosismo si ramifica in mille tic, sussurri, sbadigli. Chi aprirà il fuoco di fila? Manu, sporco e sudato, si allunga sul lastricato polveroso e grumoso: «Peggio per loro, oggi avevo voglia di andare a messa». Fred fissa il vuoto, il mento sulle ginocchia ritratte: «Non ho niente contro quella ragazza. Ma perché ci sbatte sul muso i suoi tabù puritani?». Isabelle sceglie il buonsenso: «Quasi quasi torno a discutere con lei; se fa la poliziotta del buoncostume avrà i suoi motivi». Di fronte all’atteggiamento distratto del resto della combriccola, si leva: «La chiamo».
Rosa, questo il suo nome, accetta l’invito, nonostante un francese approssimativo, mai sciacquato lungo la Senna. Gonna alle caviglie, camicetta abbottonata fino al colletto, fare compito, quasi timido, non è tuttavia intimorita dalla nostra banda di turisti scesi come un’orda vandalica dalla grande Francia della rivoluzione atea: «Da dove venite?».

Il sopore si dissipa per una domanda così semplice e inattesa. Si entra ben presto, brutalmente quasi, nel vivo del discorso: «Perché dissipi le tue ore a misurare i centimetri quadrati di pelle esposti alla tentazione del prossimo?», insinua Régis. «Non lo faccio per piacere – risponde Rosa –: è importante ricordare ai turisti che Fatima non è solo una meta turistica, ma un luogo dove Maria si è manifestata a tre bambini». «E ti sembra il modo migliore?», insiste Isabelle. «Non lo so, ma è un modo», sorride disarmante la piccola portoghese. «È vero, ma capisci che per noi, gente di altre culture, quest’atteggiamento rischia di provocare un vero e proprio rigetto della Chiesa? Da noi, ci si veste così d’estate e dov’è la libertà?», protesta Fred. «Forse hai ragione, ma i limiti esistono. In ogni modo, non voglio scoraggiarvi di partecipare alla messa. Non conoscevo le vostre intenzioni e non sarò io a impedirvelo», si scusa Rosa.

Entriamo nella basilica per assistere alla messa, percorrendo quasi vergognosi i lunghi gradini che abbracciano la basilica, senza capire granché‚ d’altronde. Poi scendiamo alla cappella, una sola vetrata attorno al luogo delle apparizioni, coronata da una selva di candele giallognole di ogni forma e taglia, combustibile di una multitudine di fiammelle cangianti. Una donna appassita struscia le ginocchia sul lastricato e sui gradini attorno alla cappella, inanellando monotoni circuiti penitenziali. Nella mano un’alabarda, uno stendardo, una bandiera: una minuscula e fiera candela. «Non ne sarei capace», confessa Jean-François. E accende per qualche decina di scudi una candelina giallognola: come quella della donna appassita.

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