Brown, Cameron o Cleggs? Tra poche ore sapremo chi ha vinto. E festeggerà a Piccadilly Circus... Visita del 2004.
Passeggiata notturna nel centro di Londra, popolata all’inverosimile da uno strano popolo della notte, come si dice oggi “trasversale”: razze lingue età stato interessi… Tutti insieme appassionatamente, su e giù per le scale del tube, intasati in pub che sembrano moltiplicare la loro capienza sfidando le leggi della compenetrazione dei solidi, teatri annunciati da code chilometriche, concerti d’ogni dimensione e qualità accompagnati dalle solite ondate di fischi ed applausi. Come a Roma, più che a Roma. Come a Parigi, più che a Parigi. Mi chiedo come mai la vita notturna sia stata una delle manifestazioni più riuscite della democrazia della fine millennio: chiunque ha finalmente accesso alle notti cittadine, anche chi non ha pecunia e che in una mezz’ora riesce comunque a elemosinare i denari sufficienti per un buon spuntino.
Osservo la folla che si accanisce sui gradini della fontana dell’Eros alato a Piccadilly Circus. Quasi tutti giovani, ma non solo. Stanno lì a far niente, a bene una canette di birra, a chiacchierare dell’ultimo album dell’ultimo gruppo all’ultima moda, a scuotere la testa al tempo della musica che arriva nella piazza come un vento costante da chissà dove. Ma anche a leggere descrizioni acculturate dell’esposizione di Hopper alla Tate Modern, oppure a conversare sulla vita e sulla morte, sull’escatologia e sulla protologia nella grande prospettiva dell’apocalisse dell’occidente. Guadagnare qualche centimetro quadrato in uno qualsiasi dei gradini della fontana ha del miracoloso. Eppure, guardando i movimenti della folla da lontano, ci si accorge che nulla è statico, che la massa umana segue le leggi dell’idraulica nell’adattarsi alle forme architettoniche e nel resistere alle pressioni esterne, o nel cambiare parte del proprio liquido composto dagli umani attirati da quei sedili.
Mi chiedo ancora che cosa faccia preferire questi gradini a quelli, ad esempio, della vicina Waterloo Square, sormontata dalla colonna della statua del Duca di York. Forse è il muro di pubblicità luminosa ad attirare tanta gente; forse l’incredibile incrocio di vie che versano fiumi di taxi neri e di autobus rossi a due piani in quell’angusto spazio; o forse ancora i teatri che si affacciano sulla piazza, in primis quello shakespiriano. O, perché no, la sottostante metropolitana, che erutta fiotti di passeggeri ogni qualche minuto. Fatto sta che i gradini sono sempre ricoperti da umane sembianze, mentre l’Eros alato continua a rimanere leggiadro e leggero, incombente sulla folla giovanile o meno. Forse, allora, è proprio quest’Eros scolpito nel 1892 per commemorare il mecenate vittoriano conte di Shaftesbury che attira tanta gente.
L’amore, l’eterna attrazione, l’infinito ricominciare, la sfrontata dimostrazione dell’umana mortalità e della sua inusitata eternità.
L’amore, l’eterna attrazione, l’infinito ricominciare, la sfrontata dimostrazione dell’umana mortalità e della sua inusitata eternità.
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