Viveva e insegnava in Olanda, a Leida e a Utrecht, dove aveva una cattedra di studi islamici. Il prof. Nasr Hamid Abu Zayd aveva una storia lunga e tormentata alle spalle, che aveva raccontato in un delizioso e terribile libro, Una vita con l’Islam (Il Mulino). Si professava musulmano, e nel contempo era esiliato dal suo Paese assieme alla moglie, da quando nel 1995 una corte gli intimò di divorziare dalla stessa cara Ibtihal perché murtadd, apostata. Poi ebbe la ventura di tornare in patria, dove è morto due giorni fa per una meningite fulminante.
Esperto d’islamologia, aveva da sempre messo una particolare attenzione sugli studi esegetici del Corano. La sua visione andava spesso controcorrente, ma indubbiamente era uno dei massimi esperti degli sviluppi recenti della galassia islamica. Secondo Susanna Nierestain, «in lui permane una certa ambiguità… riformisti sì, ma intrisi di ostilità nei confronti di Israele, dell’America, di un occidente che dicono imperialista e rapace». In realtà avevo incontrato un uomo ragionevole e mite, rigoroso.
«È ben noto – mi aveva detto – che l’esegesi coranica non tradizionale sta prendendo sempre più terreno. Persino alcuni ulema tradizionalisti hanno incominciato, sotto la pressione delle nuove metodologie di esegesi e di critica testuale, a citare o applicare una certa lettura moderna della Scrittura, pur senza ammetterlo. Se ne trovano esempi in Egitto, in Siria, in Tunisia e altrove. Anche dentro le istituzioni tradizionali c’è chi sta tentando di introdurre una nuova metodologia di interpretazione, non solo per il Corano, ma anche per la sunna. Ma ciò non significa che il trionfo dell’esegesi moderna sia dietro l’angolo: i problemi ci sono, perché le istituzioni stanno difendendo la propria autorità in qualche modo minacciata dal nuovo metodo». Ottimista? «La sorprende? Ritengo che questo nuovo approccio avrebbe potuto imporsi già tempo fa, se la situazione palestinese non fosse stata così grave e se gli statunitensi non avessero interferito per i loro interessi non solo negli affari mediorientali, ma in quelli dell’intero mondo musulmano».
Come ha compreso il Corano nelle varie fase della sua vita? «Essendo stato allevato secondo il modo islamico più tradizionale per una famiglia egiziana – mi aveva risposto –, ho appreso l’Islam da mia madre e da mio padre. Non era l’Islam di cui si sente parlare oggi: non c’era la televisione nel mio villaggio, ma soltanto un’unica radio. Così dovevo imparare la Scrittura dalle persone che mi circondavano, da mia madre che mi sussurrava nelle orecchie, sin dalla nascita, alcuni capitoli della storia del Profeta, e quando piangevo mi recitava una sorta di cantilena coranica. Ricordo che, ero veramente piccolo, mi piaceva questo tipo di attenzioni, e qualche volta piangevo apposta per ricevere questi trattamenti. È così che si impara la religione, quando vedi tuo padre pregare a casa, e poi vai con lui alla moschea di venerdì. Così tu impari la religione, ma ancor più conosci il contesto sociale che esiste fra le persone nel tuo villaggio, e comprendi che è tale contesto sociale che ti accud
E quando ha conosciuto meglio la Scrittura islamica? «Ho imparato a memoria il Corano – mi aveva risposto – quando ero ancora molto giovane: ero capace di pronunciarlo, ma non di capirlo. Negli anni Settanta mi ritrovai invece incapace di accettare qualsiasi cosa senza realmente capirla; così ho incominciato a leggere sull’Islam ogni tipo di libri, e poi a riflettere da solo. Fino a quando non sono diventato uno studioso, e ho scelto di approfondire l’esegesi. Sono così cominciate a sorgere in me tante domande sul Corano, a cui ho cercato di rispondere con la fede e la ragione, insieme». Ha capito il significato dell’Islam? «Non affermo di aver capito tutto, perché questa sarebbe un’affermazione pericolosa: io sto solo cercando di fare del mio meglio, conscio dei miei limiti».
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