Masada, Massada o Mezada, dipende dalle traslitterazioni. Il Mar Morto giace come sempre sonnacchioso, con le onde rese vischiose dalla concentrazione salina, sotto una foschia che sa di inerzia, di mestizia, di polvere sospesa nell’aria. Il profilo del Monte Nebo s’intravede al di là della distesa d’acqua che ricopre la depressione: il papa è lassù, a predicare pace su queste terre che nella storia hanno conosciuto più conflittualità che tregue. I paesaggi sono lunari, desertici, aspri: si capisce così l’asprezza di questa gente avvezza più a costruire muri che ponti. Qui in effetti anche le montagne paiono muri invalicabili, o quasi. Come lo sperone roccioso di Masada, che persino i romani fecero un’improba fatica a conquistare. Spingendo i difensori a immolarsi come kamikaze ante litteram, forse seguendo il Sansone biblico, che gridò in un impeto di collera nazionalistica: «Muoia Sansone con tutti i filistei».
Che i romani abbiano faticato tanto a conquistare il simbolo stesso dell’entità nazionale ebraica lo si capisce da subito, salendo dal Mar Morto fino alla roccaforte di Masada, issata su una roccia che pare un tronco di cono sovrastato da una piattaforma che già dalle pendici del monte pare grandiosa. Si può salirvi usando una funivia di fabbricazione svizzera – rassicurante presenza elvetica –, oppure sfidando sole e calore imboccando lo snake path, il sentiero del serpente, chiamato così non a caso, per l’ardito percorso che s’inerpica lungo il crinale orientale. Ad ogni tornante lo scenario acquista toni sempre più epici, quasi si stesse spiccando il volo a picco sull’azzurro cupo del Mar Morto. E salendo si scorgono pure i perimetri ben visibili degli accampamenti che i romani eressero per porre l’assedio alla fortezza, che durò circa sei mesi. Eressero pure una muraglia di legno, per impedire ogni via di fuga agli assediati: oggi resta un lungo e ininterrotto muretto a secco che ne ripercorre il tracciato.
È con non poco sollievo, allora, che si giunge alla Porta Orientale, attraversata la quale s’apre il vasto altipiano (700 metri su 300) di Masada, che dapprima non suscita grandi entusiasmi, a dire il vero, né estetici né archeologici, salvo per tre o quattro torri monche che paiono più che altro residui di un forte militare d’altri tempi, o poco più. Ma è questione di qualche centinaio di passi, quando il reticolato di muri svela la città che lassù era stata costruita, o piuttosto una reggia fortificata. Se la polvere, che nell’ascesa contrappuntata da gradini che si sfaldano alternati ad altri che invece paiono venire dai millenni trascorsi e andare verso nuovi millenni, era stata invadente e appiccicosa, qui invece si erge addirittura in volute modellate dal vento che paiono materializzare fantasmi. Ebraici e romani, in lotta tra loro, con il corredo di zeloti ed esseni e finanche cristiani bizantini.
La fortezza viene descritta dallo storico ebreo che s’aggregò all’esercito romano, Giuseppe Flavio, quasi un imbedded reporter dell’epoca. Fu il re Erode, quello del tempo di Gesù, quello sepolto nella collina artificiale dell’Herodiyon (40-4 a.C), che rese grande Masada, trovando il luogo adatto a difendersi dai tanti nemici, reali o potenziali, che minacciavano Israele. Così su questo pianoro eresse una reggia e una fortificazione di eccellente fattura, usando dell’arte dei migliori artisti e artigiani dell’epoca. Scriveva Giuseppe Flavio: «Costruì sulle mura trentasette torri e un intero castello, cosicché la sua opera si erge verso il cielo e di fronte agli uomini a riparo del nemico che sale in guerra contro di lui».
Ma la vicenda di Masada fu resa epica dalla grande rivolta contro i romani del 66 d.C., quando un gruppo di “sicari” (zeloti estremisti, determinati alla morte pur di sconfiggere il nemico), guidati da Menachem Ben-Yair, attaccò la fortezza sottraendola al controllo romano. Arrivarono anche gli esseni quassù, in un impeto di orgoglio tutto ebraico. Dopo la caduta di Gerusalemme, nel 70 d.C., gli ultimi ribelli si rifugiarono proprio quassù. Vi costruirono nuovi edifici, sia militari che cultuali che educativi. Finché i romani, al comando di Flavio Silva, tre anni più tardi intrapresero la riconquista di Masada. Mille erano quassù, diecimila laggiù. Ma l’assedio non fu facile, e durò alcuni mesi. Fu una terribile battaglia in cui gli assediati si decisero alla morte pur di non cadere vivi in mano del nemico: dapprima furono le donne e i bambini ad essere sgozzati dai loro stessi mariti e padri, i quali poi funsero da kamikaze ante litteram, cercando di sacrificarsi solo dopo aver ammazzato ciascuno dieci nemici, più o meno. I romani, vinte le ultime resistenze, trovarno a Masada solo una distesa di cadaveri. Vennero poi i bizantini, prima che l’intero sito cadesse nell’oblio, finché due archeologi inglesi, Smith e Robinson, nel 1838, reperirono di nuovo il sito. Ma solo nel 1953 vennero reperiti il Palazzo Nord e la serpentina, e fu così chiarito l’enigma storico di Masada, così come l’ho sommariamente raccontato.
Si capisce, allora, come Masada sia diventata il simbolo storico dell’eroismo ebraico, al punto che gli ebrei ora vengono in questo luogo come si va in un pellegrinaggio, ritenendo questo luogo il simbolo della conquista della libertà. È la storia della resistenza di una minoranza contro la maggioranza: in fondo, la storia del popolo ebraico. Non a caso i soldati israeliani impegnati nelle più complesse operazioni militari e di intelligence contro il terrorismo palestinese (o la resistenza, dipende dai punti di vista!) vengono quassù giurare la loro fedeltà allo Stato ebraico, naturalmente sulla Torah.
È importante deambulare nel sito avendo ben in mente questa storia, che spiega tutto, o quasi, di questi reperti. Così le terme – con frigidarium e calidarium e tiepidarium – e il complesso sistema di raccolta delle acque (già all’epoca una specialità degli abitanti del luogo di religione ebraica), così i magazzini regolari e efficienti, così il Palazzo di Erode vero e proprio, costruito su tre livelli, quasi sospeso nel vuoto, così i mosaici di squisita fattura che compaiono qua e là nelle abitazioni e nelle casematte. Si cammina e si respira la profondità dei millenni, pare di scorgere, nelle frotte di turisti velati dalla nuvola di polvere, truppe disposte al combattimento; pare di udire le grida dei bimbi che scorrazzano nelle corti delle scuole; pare di veder le donne intente a coltivare i loro orticelli e a raccogliere l’acqua piovana fino all’ultima goccia. Pare scorgere il corteo reale incamminarsi per le celebrazioni dello shabbat…
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