lunedì 17 gennaio 2011

Cartagine, dove ora regna il caos


La delicatissima situazione politica tunisina ha avuto come uno dei suoi principali centri di scontro la vecchia città di Cartagine, accanto al palazzo del deposto presidente, Ben Ali. Visita del 2005.

Ne ho viste tante di pietre antiche in giro per il mondo. Non tutte realmente interessanti, non tutte all’altezza della memoria evocata. Temo che anche Cartagine sia stata vittima della maledizione del saccheggio e del cemento. Temo che l’incuria abbia avuto la meglio sulla giustezza dell’antico, sulla sua grandiosa modestia. E chissà se la mia sensibilità saprà cogliere quel che non morirà mai.

Rimugino questi interrogativi sul tassì che sfreccia nella sottile striscia di terra che recide la laguna salata di Tunisi. Il tassista corre come un ossesso a bordo della sua Vw da 400 mila chilometri, che mi chiedo ancora come non si si disgreghi in mezzo alla carreggiata, tanti sono i cigolii e i rumori sospetti che la scuotono.

Cartagine, la vecchia Carthago, s’annuncia con le guglie e le cupole della cattedrale cattolica dedicata a Saint-Louis, un esempio da non seguire di architettura che nello stesso tempo vuole essere coloniale, gotica e romanica. Vi lascio immaginare… Il museo si allunga assolto e ozioso ai suoi piedi, ricco di reperti fenici, punici, greci e romani. I mosaici che racchiude e custodisce non sono da poco, rimandano ad antichi momenti di gloria. Il vasellame fenicio sta con la grazia e con la sfrontatezza dei millenni accumulatisi. Un paio di scheletri che dicono punici si mostrano composti, quasi al punto da infondere tenerezza. Tutto qui. Uscendo dal museo, lo spazio di un’istantanea apre prospettive marine e archeologiche: colonne e capitelli e frontoni e mare. Nient’altro. Il cemento e il business vengono celati dall’altura.

È tutto giusto. E allora rivedo Agostino che ammonisce ed incoraggia i cristiani minacciati dalle tante eresie del tempo. Rivedo Annibale che ammonisce e incoraggia le sue truppe pronte alla campagna più pazza che si potesse immaginare. Rivedo Adriano, l’imperatore, che ammonisce e incoraggia i suoi ammiratori usando della sua eloquenza e della sua profonda visione delle cose.

L’anfiteatro – tremila spettatori – è deturpato dalle strutture metalliche che lo rendono un’arena estiva ancora in uso. Per giunta, su di esso incombe un minareto dozzinale. A Efeso è più completo, a Taormina più pittoresco, a Pompei più antico… Ma qui, anche qui, riesco ad immaginarmi in compagnia di Adriano, Annibale, Agostino. E l’incanto rinasce, e il presente s’oblia in un passato certamente più glorioso.

Qualche villa romana, qualche colonna mozza, s’indovina una superficie che una volta era un circo massimo. Poco d’altro. E una scalinata che, dicono, facesse ascendere al tempio di Apollo di romana memoria. La scalinata è ora ridotta a poco più di una scoscesa erta erbosa. Poco importa, Cartagine è ormai nella mia memoria, e ci rimane.

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