A 30 chilometri da Aosta, nella valle che porta al Gran Paradiso. Per cambiare opinione su un luogo.
Dicono, i depliant turistici, che sia una scala al Paradiso, anzi al Gran Paradiso. Una scala composta da un solo gradino, e per giunta colorato di verde. Un prato. Io invece avevo un solo ricordo di Cogne, e per giunta libresco: un luogo tetro, da minatori, incassato tra le montagne, con un abitato poco invitante per essere stato costruito con pietra locale, poco ci manca che fosse del colore del carbone.
Finalmente mi si presenta l’occasione di visitare la valle di Cogne: dopo un’estate secca e bollente, senza una goccia d’acqua, oggi le cataratte del cielo si sono aperte e vengono giù, come dicono i vicini savoiardi, les cordes. Rischio di confermare la mia ipotesi, non quella della pro loco. Se non fosse per la mia ospite – inesausta e molto di più, moglie attenta e madre di tre stupendi rampolli, oltre che deliziosa scrittrice – penso che avrei girato i tacchi molto volentieri. Una tisana al tiglio nelle tenebre d’una terrazza di bar inondata dalla pioggia, una passeggiata alle cascate dove i tre marmocchi amano bagnarsi, qualche (suo) apprezzamento urbanistico (pertinente), conversazioni semplici ed elevate nel contempo, un incidente al piccolo Giacomo, con annesso rischio di una gita fuori programma al pronto soccorso di Aosta..
E d’improvviso Cogne si tinge di tonalità meno funeree. Finché, visitando lo scalino verde, per la graziosa – cioè piena di grazia – presenza dei miei ospiti, il sole appare, i ghiacciai si svestono del loro manto di nebbia, l’erba s’asciuga del suo acquitrino meterologico, il cielo si dipinge d’azzurro. E la valle di Cogne mi si svela col suo dover essere, quasi come la descrivono i depliant. La notte è flagellata dal vento e dalle ondate di pioggia. Sono gli occhi che viaggiano. Talvolta quelli degli altri.
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