mercoledì 7 settembre 2011

Ascoli Piceno, la notte e il giorno, la bellezza


Breve toccata e fuga in una città che è come un salotto, in cui si sorbisce l'Anisetta e si ammirano le pietre antiche.

I salotti pubblici, quelli autentici, si valutano la notte e all’alba. Una questione di luce. Ad Ascoli l’oscurità addormenta un un festival di marmi e pietre e stemmi e colonne. Il bell'imbusto che deambula al braccio della sua donna proprio di fronte al mio punto d'osservazione mi sembri provi addirittura momenti d’imbarazzo nel volgere lo sguardo alla bellezza dell’amata, al suo profilo giusto, alle sue labbra disegnate da Fidia e unte di brillìo, alla fronte che ricorda la perfezione della geometria, allo sguardo che investiga le intenzioni dell’amato. E ritrova quelle labbra, quella fronte, quegli sguardi sulle scanalature del marmo, sulla lucentezza delle pavimentazioni delle piazze, sui cornicioni delle dimore signorili. C’è quasi un velo di gelosia nel trio: lui, lei, la città.

Il desco pacifica le vampe del fresco e dell’oscurità sotto volte ornate del candore appassionato della patronne, che gode della serenità degli avventori e della messa in moto delle loro papille, sollecitate dalle ricette della nonna, della terra e della fantasia. E così la follia di Nietzsche rivive come genialità, il Petit traité des grande vertus del Comte-Sponville diventa il Petit traité des grandes beautés. Si vorrebbe dilatare il rempo e ridurre lo spazio alla fusione.

L’Ascoli Piceno dell’operosa normalità l’ho solo immaginata tra un tramonto e un’alba. L’ho vista popolata di eteree fate e di svelti cavalieri. Nulla di più reale di un sogno ad occhi aperti. Grazie a Dio.

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