domenica 7 agosto 2011

Tarabuco, il trionfo dei colori


Bolivia/6 - Tarabuco, il più bel mercato della Bolivia. Dove si capisce come possano convivere etnie diverse ma tutte indigene.

La strada da Sucre a Tarabuco è suggestiva. S’innalza da 2600 a 3200 metri, attraversando un paesaggio senza confini: le Ande. La vecchia linea ferroviaria, da quarant’anni in disuso, segue la strada e l’attraversa più volte, aumentando il mistero sul perché questo sistema di trasporti così utile e efficace già allora sia stato abbandonato, conoscendo lo stato delle strade boliviane. Poche sono le case nell’altipiano, piccoli fortini. I villaggi sono solo due in cinquanta chilometri. Frequenti edicole di morti sulla strada, muli e ciuchi, ogni tanto dei campesiño stanno appollaiati sul bordo della strada guardando l’infinito, mentre appare qualche tentativo di rimboschimento a base di eucalipto. Due sole piante attecchiscono veramente: la molle, spinosissima, e il chuci, una sorta di acacia. Le agavi non mancano, e così i cactus. Finché non si arriva a Tarabuco.

C’è del turismo, ormai, che fa lievitare i prezzi introducendo la logica della domanda e dell’offerta. Ma solo con gli stranieri. L’altro mercato, quello vero, gira ai ritmi di sempre, basato sul baratto. Apre prima e chiude prima. La stragrande maggioranza dei presenti, infatti, la mattina presto viene dalle campagne e dai villaggi vicini, per il mercato forse più suggestivo e in ogni caso più colorato di tutta la Bolivia. E allora è sufficiente dimenticare i miei simili – che arriveranno in massa verso mezzogiorno – e cercare di camminare nelle strade del paesello invaso dalle bancarelle. Quelle dove si vendono i sandali fatti coi pneumatici, gli altarini della tradizione religiosa quechua, le gelatine di frutta colorate come i tessuti, le mele e le arance accatastate in mucchi regolari, la carne esposta alle mosche e alle palpazioni degli acquirenti, i sacchi di foglie di coca, basilari strumenti di pesa e di calcolo… Tutto viene venduto, tutto viene contrattato, tutto pare una scusa per “mettersi assieme”, dopo una settimana vissuta dalla massima parte dei contadini in solitudine, o nell’isolamento delle loro povere case di fango che qua e là sorgono nell’altipiano. Questa gente è capace di essersi levata alle due della mattina per venire al mercato.

A Tarabuco si vive di commercio, ma soprattutto di convivialità. La gente delle campagne e dei villaggi ama conversare, sempre a voce bassa, sempre cordialmente, in capannelli che si formano un po’ ovunque, ai crocicchi come nei giardini della piazza principale, dinanzi ai bar improvvisati e a quelli per i turisti. Alle 11 suonano le campane, è domenica, c’è messa. Il prete celebra parte in spagnolo parte in quechua. L’orchestrina canta un po’ stonata, è un’abitudine da queste parti. Ai piedi dell’altare sono allineate casette in miniatura, quadri votivi e altri oggetti che la gente vuol far benedire dal sacerdote. E al termine della messa questi asperge tutti con generosità. C’è aria di fede, popolare.

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